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Lapo De Carlo: "Inzaghi trasmette paure, o si aiuta o andrà anche peggio"

di Redazione TMW
Fonte: LINTERISTA.IT
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Il capezzale dell’Inter ha riunito come quasi ogni stagione, il folto parlamento nerazzurro, trovando il primo colpevole (Simone Inzaghi), estendendo l’accusa alla squadra, con particolare riferimento ad Handanovic, De Vrij, Bastoni, Skriniar, Brozovic, Dumfries, Gosens, Barella, Dzeko e Correa. In pratica a quasi tutti

L’onda lunga del malcontento ha travolto anche Marotta ma soprattutto Suning.
Quattro sconfitte in nove partite in passato avrebbe causato l’esonero automatico dell’allenatore ma Beppe Marotta in tutta la sua carriera non ha mai cacciato nessuno e i fatti gli danno ragione.
Al contrario l’Inter ha praticato l’arte del licenziamento con conseguenze spesso sciagurate ma, nonostante questo la pretesa dell’esonero resta l’unica soluzione “seria” secondo la stragrande maggioranza dei tifosi.
C’è il solo caso di Invernizzi, quando nel 1971 subentrò ad Heriberto Herrera (da non confondere con Helenio) e vinse lo scudetto rimontando il Milan. Tutti gli altri avvicendamenti sono serviti a poco, a niente o hanno addirittura peggiorato la situazione.
Va ricordato che in tutti i casi di giubilo popolare e mediatico ogni singolo allenatore è stato considerato nel migliore dei casi “incapace”, “inadeguato” o con “la squadra che gli rema contro”.

E’ così anche nel caso di Inzaghi, il quale dopo il ritorno in campo con Roma, Barcellona due volte, Sassuolo, Salernitana e Bayern, potrebbe costringere Marotta ad andare contro natura convincendolo a mandalo via, trovando una soluzione ponte o una risorsa interna.
Inzaghi, proprio perché è un allenatore poco abituato a vincere, con un carattere troppo mite, se avesse conquistato lo scudetto, avrebbe fatto fare un balzo culturale enorme all’Inter, abituata da sempre a vincere solo con generali e mai con caporali, sergenti o tenenti.
Inzaghi è un buon allenatore ma la società non può solo affidarsi a lui. Va sorretto, accompagnato, sostenuto, fatto crescere e riflettere molto di più dal club.
Non è Antonio Conte e non è Mancini o Mourinho.  Non è nemmeno Spalletti per età e conoscenza del territorio calcistico.
Inzaghi, considerando le finanze attuali, era una delle migliori opzioni possibili, dopo che la squadra era stata abbandonata da Conte. I fatti dicono che l’allenatore precedente poteva serenamente restare un altro anno e chiudere il contratto.
L’Inter così e rimasta orfana di una guida turbolenta ma sicura.
Nella storia l’Inter ha non ha mai vinto uno scudetto con un tipo di tecnico alla Inzaghi, perché il club storicamente, con gravi colpe, non fa progetti triennali ma confeziona squadre con l’obbiettivo immediato. Scouting ai minimi termini e quest’anno investimenti ridotti anche nel settore giovanile.
Oggi che le difficoltà vengono da fattori esogeni, con un Lukaku che si è subito fatto male, Skriniar sempre più tentato ad andare a Parigi a giugno, prendendo più del doppio, Gosens che non sembra più capace di essere il giocatore magnifico di Bergamo, dopo un estate in cui la dirigenza ha lasciato sul mercato fino all’ultima ora almeno tre titolari e con una proprietà che ha ufficiosamente messo in vendita l’Inter, Inzaghi si trova smarrito.
La sua prudenza è diventata paura, le sue scelte pavide si sono abbattute sul rendimento della squadra. E’ proprio la mitezza di Inzaghi che contrasta con l’esigenza di avere un coraggio perpetuo, quasi insensato e che invece lui traduce in ponderatezza estrema.

Se si piazza Gagliardini per paura di Milinkovic Savic è paura, se si gioca in casa col Bayern davanti a 75.000 tifosi e si rinuncia ad attaccare fin dal primo minuto è paura, se ci s trova sotto 0-2 e si mettono in campo Correa e Di Marco è l’opposto della mentalità vincente, se si fanno dei cambi sistematici di giocatori ammoniti già nel primo tempo è paura, se si lascia in campo Brozovic, pur ammonito in cinque partite, si dimostra incoerenza e si crea una spaccatura, se si cambia uno dei migliori in campo con l’Udinese (Acerbi) e si mette dentro il peggior difensore in questo momento (De Vrij), si genera confusione, se non si schiera mai Asllani, tra i migliori giocatori della pre season e nemmeno Bellanova per paura di bruciarli, si dimostra paura.
Si potrebbe andare avanti con tante altre scelte che hanno la stessa matrice ma il fatto è che non si cambia la testa di Inzaghi in due settimane e non si cambia nemmeno uno staff dei preparatori che quest’anno sembra aver messo più ganasce che le ali ai piedi dei giocatori. La società dovrà fare molto di più che sostenere a tempo il tecnico e dargli una pacca sulla spalla nel frattempo. Serve che Inzaghi venga accompagnato da una maggiore presenza dei dirigenti, per il bene di tutti.
Lasciarlo solo con le sue scelte sperando che cambi qualcosa è solo un modo per nascondersi i problemi.
Amala

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Mercoledì 8 Maggio 2024
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