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Le emozioni del calcio in voce: la storia di Riccardo Cucchi

di TMWRadio Redazione
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Storie di Calcio con Riccardo Cucchi e Marco Piccari
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E' stata una delle voci sportive più apprezzate di sempre. Riccardo Cucchi è Tutto Il Calcio Minuto Per Minuto.
Con la sua voce ha davvero lasciato il segno in tante pagine del calcio italiano, ma anche dello sport, visto che è stato protagonista anche in diverse Olimpiadi. E ha raccontato la sua carriera a Storie di Calcio, a TMW Radio.

Cosa sognava Cucchi da ragazzo?
"La mia è una generazione di nativi radiofonici. L'unico modo che ci permetteva di seguire il nostro sport più amato era la radio. Il mio amore per la radio ha accompagnato il mio sogno, volevo fare quello che facevano Ameri, Ciotti. I miei genitori? Mio padre voleva diventassi ingegnere e spiunse per iscrivermi al liceo scientifico. Ma poi convinsi che non era quello il mio destino e presi la laurea di Lettere e Filosofia. Mia madre invece mi ha sempre lasciato seguire l'onda delle mie emozioni. Ho cercato di seguire anche un'altra ambizione, la musica, studiando violino per 3-4 anni e pensai di iscrivermi al Conservatorio ma non andò così. Dopo aver superato l'esame per entrare in Rai, il presidente era Sergio Zavoli e mi chiese cosa volevo fare nel mio futuro, io dissi che volevo fare il radicronista sportivo e lui mi sfidò e mi disse come avrei raccontato una partita. Mi inventai un Juventus-Milan, ma era un gioco d'infanzia quello di registrare e inventare radiocronache. E proprio per il successo a quell'esame mio padre mi regalò un altro registratore, che usai per le interviste".

Quanto le mancano le cuffie?
"Molto ,anche se mi hanno fatto perdere un po' di udito. Sono però il simbolo della mia scelta di vita".

La prima radiocronaca?
"Agosto '82 Coppa Italia, Campobasso-Fiorentina. Toccava a Ezio Luzzi ma ebbe un problema di salute e la Rai mi chiese di sostituirlo. Vinse incredibilmente il Campobasso. Ricevetti subito dopo una telefonata di Mario Giobbe che mi disse che ero stato bravo e a lì iniziò la mia carriera".

Mario Giobbe?
"E' il primo che ha creduto in me insieme a Moretti. Poi ci sono Ciotti e Ameri, le voci della mia infanzia, sono stato davvero emozionato ad essere con loro".

Chi le incuteva più timore?
"Tutte, perché li ho ascoltati per anni. Trovarmi tra di loro, muovere i primi passi tra di loro era una grande responsabilità, non mi sentivo pronto. Claudio Ferretti, durante l'Olimpiade '84, capendo la mia timidezza, mi portò alla cerimonia di apertura e parlò con me per spiegarmi i segreti e sciogliere un po' la mia paura".

Il più severo?
"In studio Mario Giobbe, non tollerava che allungassimo i tempi degli interventi. Capivamo che eravamo andati lunghi perché tirava su col naso vicino al microfono, era un segnale".

Qualche rimprovero?
"Tutti sono stati maestri, Ameri aveva un ritmo frenetico, Ciotti per il linguaggio e la competenza tecnica. Ferretti per la precisione e il rigore. Il rimprovero duro lo ricevetti da Ciotti, ma era legato a una partita a scopone. Io non ero capace e feci perdere Ciotti che non accettava mai le sconfitte".

C'è una radiocronaca che pensa e ricorda tanto?
"Quelle di Ciotti e Ameri sono piccoli capolavori. Raccontavano calcio ogni volta. Ma più che altro una frase, ossia 'Clamoroso al Cibali', pronunciata in occasione della sfida Catania-Inter e il clamoroso ko dell'Inter di Herrera. In quella frase c'era già la notizia. Ciotti la rivendicava ma non è più presente negli archivi. E' la fotografia della radio e della sua storia quella frase".

Il momento più emozionante che ha raccontato?
"La finale di Berlino. Solo Carosio e Ameri erano riusciti a pronunciare 'Campioni del Mondo'. E' qualcosa che rimarrà scolpito nella storia e nella memoria. Mi ricordo poi il disordine di quella festa in campo degli azzurri".

Un errore?
"Mi ricordo una gara del Pescara, intervenni per dare la notizia del rigore degli abruzzesi e sul dischetto c'era Allegri. Cedetti la linea ma in realtà era stato Pagano a tirarlo. Non dormii per tre notti. Lo raccontai anche ad Allegri e ci siamo fatti tante risate".

Tre giocatori che l'hanno emozionata di più?
"Platini, Baggio e Maradona".

L'addio alle radiocronache come lo ricorda?
"Mi sono preparato a quel momento. Non volevo scaricare le mie tensioni ma i tifosi dell'Inter, durante la partita con l'Empoli, mise fuori uno striscione per salutarmi. Lì l'emozione è esplosa ed è stata visibile e ringrazierò per sempre i tifosi nerazzurri per questo".

Un altro calcio è ancora possibile?
"E' il titolo del mio ultimo libro. Credo di sì. E' il mio grido di dolore da appassionato di calcio per le distorsioni attuali ma credo che il calcio possa ritrovare se stesso. Sotto una pioggia di denaro si sta perdendo passione per questo sport, e si sta perdendo anche la passione di giocare per le strade. Non è un caso che perse certe abitudini non sono più usciti grandi campioni in Italia".

Cosa aggiunge?
"Il calcio è l'unica impresa che continua a chiedere soldi. Sotto questa montagna ci si è dimenticati che il business del calcio vive sulla passione dei tifosi, che vengono dimenticati costantemente e calcolati solo come bancomat. L'eccesso di proposta di calcio poi è un male. Si arriverà al punto che se ne comprerà sempre meno. L'attesa dell'evento è essa stessa emozione invece".

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