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Tomori: "La chiamata del Milan è stata uno shock. Ibrahimovic alza l'asticella"

di Pietro Lazzerini
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© foto di DANIELE MASCOLO

Intervistato dal magazine ufficiale della Champions League, il difensore del Milan Fikayo Tomori ha parlato della propria carriera fino all'approdo in rossonero.

Come ha iniziato a giocare a calcio?
"Quando avevo circa cinque o sei anni, avevo alcuni amici della mia età nel sud-est di Londra. Mia madre un giorno riunì tutte le altre mamme e disse: 'Diamo a questi ragazzi qualcosa su cui spendere le loro energie'. Quindi andammo in un centro ricreativo locale, dove segnai tanti gol. Poi mi trasferì al Kent e qui gli allenatori dissero: 'È bravo, assicuratevi di portarlo in un club'. Giocai inizialmente nella squadra della mia scuola, per poi passare al Chelsea a sette anni".

Lei però è nato in Canada, che rapporti ha con questo paese?
"Sì, mi sono trasferito in Inghilterra prima di compiere un anno, ma il Canada fa comunque parte della mia storia. Tornavo molto là, ma poi è arrivato il calcio e giocavo quattro volte a settimana, quindi è stato sempre più difficile tornarci. Ma ho molti amici e parenti lì. Tengono sempre d'occhio quello che faccio. Ricevo tantissimi messaggi. Voglio tornare a salutarli, ma purtroppo non ho ancora avuto tempo".

Però ha anche origini nigeriane...
"Certo. I miei nonni sono di lì, i miei genitori anche e gli amici che ho a casa vengono tutti dalla Nigeria. I miei genitori da piccolo mi parlavano in yoruba, che è una lingua locale. Mi sento molto nigeriano, dalle abitudini al cibo".

I primi passi nel calcio li ha fatti nel Chelsea, come è andata?
"Quando sei giovane, giochi solo per divertimento e non sai mai davvero fino a che livello arriverai. Poi, man mano che invecchi, ti avvicini sempre di più alla prima squadra e cominci a prendere tutto più sul serio. Crescere al Chelsea mi ha decisamente formato. Ho giocato con tanti calciatori e sono stato allenato da tecnici bravi. E poi ho avuto l'opportunità di giocare in prima squadra, un'esperienza che mi ha portato a dove sono oggi".

Qual è stato il momento che si è reso conto di avercela fatta?
"Sono riuscito ad iniziare la mia carriera tra i professionisti al Brighton, l’anno della promozione in Premier League. Ma lì non giocai molto. Il passo successivo, per me, è stato quello di andare in una squadra in cui avrei potuto ottenere più costanza ed all’Hull City sono riuscito a farlo. Poi sono andato al Derby County. Lì credo che sia stato il momento in cui ho pensato: 'Ok, forse posso davvero fare carriera'. Poi al Chelsea, tra 20 partite di Champions League e Premier League, mi sono detto: 'Ok, credo di poter giocare a questi livelli'. Però non dico che ce l'ho fatta perché sono ancora in viaggio".

Cosa ricorda della sua prima partita in Champions?
"Ho avuto la fortuna di debuttare con le persone con cui sono cresciuto: Tammy Abraham, Mason Mount, Callum Hudson-Odoi e Reece James. Ascoltare la musica della Champions League è stato surreale. È stato un giorno speciale".

Ha qualche ricordo di infanzia legato al suo attuale club, il Milan?
"Mi vengono in mente le notti di Champions League. Sfortunatamente la prima che mi ricordo è la finale di Istanbul. E poi ricordo di aver visto anche quella del 2007 ad Atene, quando vinse il Milan. C’erano tanti giocatori che ammiravo, uno su tutti era Kaká. Quindi, poter dire che faccio parte del club in cui hanno indossato la maglia rossonera certi calciatori è fantastico".

Si è mai confrontato con due leggende della difesa milanista come Baresi e Maldini?
"Ho parlato con Paolo e mi ha detto come pensa che io possa migliorare il mio gioco in termini di posizionamento e di possesso. Avere questo tipo di persone da cui imparare e da cui prendere consigli è qualcosa che non puoi comprare. Ed in più, sapere che mi stanno guardando è sicuramente una motivazione per me".

In Serie A giocano anche altri due calciatori inglesi come Abraham e Smalling, li conosce?
"Tammy è un amico d'infanzia. Siamo cresciuti insieme e finiamo sempre per essere più o meno nello stesso posto – quindi sì, parliamo quasi ogni giorno perché siamo grandi amici. Averlo qui e vivere insieme quest’esperienza è fantastico. Chris purtroppo non lo conosco, ma appena ci vedremo faremo sicuramente due chiacchiere".

Com'è dover marcare Ibrahimovic in allenamento?
"È difficile! È troppo forte ed intelligente. Anche a quarant'anni si adatta abbastanza velocemente, ed è ancora molto acuto. Avere qualcuno come lui contro cui difendersi, qualcuno che ha giocato ai massimi livelli per quasi tutta la sua carriera, è incredibile. E averlo nella tua squadra è decisamente meglio che non avercelo perché è un vincente. Guida molto il gruppo ed alza l’asticella. Averlo intorno è sicuramente positivo".

È stato difficile trasferirsi all'estero?
"Ho sempre voluto provare qualcosa in un altro Paese: dalla cultura ai diversi tipi di calcio. Quando il Milan mi ha chiamato per me è stato uno shock: 'Un colosso europeo chiede proprio di me'. Ed è stato decisivo per prendere questa scelta".

Ogni tanto realizza di essere un giocatore del Milan?
"Quando ho firmato e avevo per la prima volta una borsa con sopra l'insegna del Milan, ho pensato: 'Wow, sono qui. È tutto vero'. Mio padre guardava il calcio negli anni '80 e '90, quando il Milan vinceva le Champions League ed era la migliore squadra del mondo. Per lui è pazzesco. Sono davvero, davvero felice e grato di essere qui. Se dovessi ritirarmi oggi o se dovesse succedermi qualcosa, Dio non voglia, potrei dire: 'Sì, ho giocato per il Chelsea, per il Milan e sono riuscito a vestire la maglia dell'Inghilterra'. Pensarci è da pazzi".

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