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TMW RADIO - Hubner: "Il mio calcio di una volta, tra la Nazionale e quel 5 maggio 2002..."

di TMWRadio Redazione
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport
Archivio Stadio Aperto 2020
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Archivio Stadio Aperto 2020
Dario Hubner intervistato da Francesco Benvenuti e Niccolò Ceccarini
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Dario Hubner, ex attaccante, si è raccontato a TMW Radio durante la trasmissione 'Stadio Aperto':

Sei consapevole di essere diventato un'icona di un calcio che non c'è più?
"Fa piacere, vengo sempre accolto con simpatia in ogni città in cui ho giocato. Sono contento di aver lasciato un buon ricordo. Prima il calcio era diverso, era più familiare".

Per un attaccante quanto è importante avere una squadra che funziona?
"Chi fa più gol è sempre quello che ha una squadra che lo supporta. Prendo sempre come esempio Higuain, che quando è arrivato al Milan sembrava un brocco ma non lo è: a Napoli e alla Juventus ha sempre segnato tantissimo. Un attaccante è bravo quando i compagni lo mettono in condizioni di tirare in porta, altrimenti è quasi impossibile che faccia gol. Noi centravanti dipendiamo da loro. Se ho memoria di tutte le mie reti? Di tante sì e le ricordo con affetto, alcune sono stati importanti".

Hai scelto Piacenza nonostante la possibilità di andare in Premier League: perché?
"Lì a Piacenza negli anni Novanta si stava bene, il posto era bellissimo e i tifosi erano fantastici. Non me la sono sentita di cambiare troppo, senza sapere dove sarei andato. Quale era il club interessato? Il Nottingham Forrest, squadra molto prestigiosa". 

Il rapporto con Baggio?
"Ho avuto un rapporto bellissimo, è una persona eccezionale. Appena è arrivato a Brescia si è messo subito a disposizione. Tatticamente non andavamo molto d'accordo perché lui preferiva giocare con un attaccante di sponda per poi arrivare a calciare. Io amavo andare negli spazi, facevo poche sponde. Di aneddoti ce ne sono tanti, li ho scritti nel mio libro che pubblicherò il 27 febbraio”.

L'allenatore più importante a livello tattico?
"Guidolin è stato il primo che ho avuto negli anni in cui si passava dal giocare a uomo a zona. Erano le sue prime stagioni e aveva tanta voglia. Ha cominciato a insegnarmi le diagonali, la famosa mezzaluna e altri movimenti che mi sono portato avanti per tutta la mia carriera. Mi ha dato sicuramente il cambio di passo per la mia carriera".

Il 5 maggio 2002 con i tuoi gol il Piacenza si è salvato in A...
"Per me è stata una giornata importantissima. I miei gol hanno aiutato i compagni a salvarsi, ero molto felice. Quando segni sei contento anche per il resto della squadra che corre per te. È un modo per ringraziarli". 

In quell'anno hai vinto la classifica marcatori di  Serie A ma non sei stato convocato per i mondiali. Ci speravi?
"All'epoca avevo 35 anni, come Baggio: se mi avesse convocato, avrebbe dovuto chiamare anche Roberto. Trapattoni ha fatto bene anche se mi sarei aspettato una chiamata in un'amichevole prima del mondiale, una specie di premio alla carriera. Il tempo passa e ora non ci penso più ma dispiace, oggi basta poco per arrivare in nazionale. Una volta per entrare nel giro azzurro avresti dovuto fare più di 200 presenze in A, adesso per esempio Zaniolo è stato convocato quando ancora non aveva esordito. Poi lui è un grande giocatori e gli auguro il meglio, ma rende bene l'idea della differenza". 

I ricordi con i difensori dell'epoca?
"Prima di un Brescia-Milan, all'ingresso, Maldini mi chiese la maglia. Pensavo mi prendesse in giro, mi sembrava assurdo, ma rimane un orgoglio per me. Tempo fa i difensori erano tutti bravi, ogni domenica ti giravi e c'era uno tra Nesta, Cannavaro, Samuel, Thuram o lo stesso Maldini. Nesta spiccava perché non te lo sentivi dietro, ma ogni volta c'era e ti portava via la palla". 

Cosa è oggi il calcio per te?
"Seguo le partite del campionato italiano e grazie al mio ex presidente al Mantova sto allenando una squadra di quarta categoria con ragazzi speciali, diversamente abili. Sabato iniziamo un torneo. Quando arrivi al campo e ti abbracciano ricevi un qualcosa di incredibile a livello umano. Non sono io che arricchisco loro ma il contrario". 

Pirlo?
"L'ho avuto a 16 anni, era un ragazzo che si allenava quasi ogni giorno con noi. Era già un mezzo fenomeno ma era timido. Ascoltava tutti, non ha mai risposto. A Brescia ha fatto benissimo, poi è tornato dopo l'esperienza all'Inter e in rosa c'era già Baggio come trequartista. Così Mazzone l'ha messo regista, il suo ruolo vista la visione di gioco e la tecnica che aveva"

Nei giovani di oggi vedi lo spirito di sacrificio che c’era nei ragazzi di un tempo?
“Il mondo è cambiato per varie cose. Prima il calcio era vissuto in maniera diversa, quando giocavo nei dilettanti ascoltavamo il nostro allenatore senza dire nulla. Oggi i ragazzi a 15 anni già si sentono giocatori arrivati. I genitori non hanno pazienza, pensano di avere dei campioni. Mio padre dopo che giocavo mi chiedeva solo se fossi stanco, non pensava a farmi arrivare in Serie A”.

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