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TMW RADIO - Glerean: "Nel mio 3-3-4 Eriksen giocherebbe come Caverzan o La Grotteria"

di Dimitri Conti
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Archivio Stadio Aperto 2020-2021
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Ezio Glerean intervistato da Francesco Benvenuti e Niccolò Ceccarini
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L'allenatore Ezio Glerean è intervenuto in diretta a Stadio Aperto, trasmissione di TMW Radio condotta da Francesco Benvenuti e Niccolò Ceccarini: "Tempo fa in un libro avevo scritto che i bambini, per rimanere nel gioco, devono appassionarsi e provare emozioni. Negli ultimi vent'anni abbiamo portato via molta della loro libertà, un tempo i primi allenatori li conoscevi solo a 12-13 anni e all'inizio esprimevi la tua fantasia per strada o negli oratori: è da lì che non vediamo più i campioni. Oggi purtroppo chi ha il talento si stanca, perché dai bambini pretendiamo cose come imparare a giocare a calcio, ma loro per prima cosa vogliono giocare. La testa sì, ma soprattutto il cuore. Se la squadra vince o perde è colpa di un bambino, e i ragazzi queste cose le subiscono. A Marostica facciamo fare le squadre ai ragazzi, due alla volta scelgono chi gioca: un percorso secondo me importantissimo".

La vostra visione è trasportabile anche in un mondo professionistico?
"Sì, con questa idea si è iniziato a Sassuolo. Di Francesco, quando allenava lì, aveva letto il mio libro e voleva provare, con l'allenatore degli Esordienti hanno portato avanti questo progetto. Non so adesso però come sia andata a finire, ma mi auguro continuino a farlo. Dobbiamo riportare tutto alla normalità, perché il gioco è dei bambini. I risultati si raggiungono con pazienza, è una cosa che deve venire dopo: gli allenatori cercano quello personale e il calcio non è più a misura di bambino ma di adulto".

Sapere di essere stato troppo moderno per i suoi tempi è un plus o un minus?
"Io ho vissuto di calcio da sempre, anche se non sono stato né un grande giocatore né un grande allenatore. Mi porto dentro esperienze di vita e di passione, e dato che amo il gioco voglio fare qualcosa: si dà la colpa ai genitori, ma in realtà sarebbero un surplus, come hanno capito da tanti anni in Francia, Belgio e Olanda. Abbiamo pensato di togliere le classifiche ai Pulcini perché i genitori si scaldavano troppo in tribuna per il gioco del figlio. Ecco anche perché la nostra idea sulle formazioni scelte dai bambini, dentro e fuori dal campo sono decisioni prese a turno, che uno sia più bravo o meno. Pensate che c'è anche chi da capitano si lascia fuori, ed è un esempio straordinario per i genitori questo. Ma togliere il risultato è impensabile, si toglie la soddisfazione... Ultimamente c'è il boom delle squadre amatoriali perché molti di quelli che lasciano a 13 anni in realtà sono appassionati e dopo ricominciano".

Dionisi è il nuovo che avanza in Serie B?
"Direi di sì perché il suo Empoli gioca bene, però vedo che oggi sono in diversi che pensano di voler la squadra nella metà campo d'attacco. Non voglio mettermi al pari di Zeman, e infatti penso che sia un lutto averlo fuori dal calcio: per quello che ha fatto dovrebbe essere a Coverciano a insegnare, perlomeno come si attacca".

Però è un personaggio scomodo.
"Queste persone vanno ascoltate. I giocatori di oggi sono gli allenatori di domani: se pensi soltanto al gioco, sbagli; devi essere un garante anche delle qualità morali delle sue squadre. Avete visto a Bergamo? Per carità, io adoro Gasperini ed è una persona straordinaria, ma ha fatto una scelta, di tenere fuori Gomez, con cui rischiava di farsi dare del pazzo. Noi in Italia valorizziamo solo chi vince, non chi costruisce. Sono contento anche che il presidente Giulini abbia rinnovato il contratto a Di Francesco...".

Un altro esempio magari è Luca Gotti.
"Beh, Luca è mio figlio. A San Donà giocava nei miei esordi da allenatore... Quando diceva che non voleva fare il primo è perché è uno che vive del calcio, un appassionato. Non possiamo perdere questi ragazzi, questi capitali".

Dove lo metterebbe Eriksen nel suo 3-3-4?
"Dove giocavano Caverzan o La Grotteria, dietro le tre punte e libero di andare dove vuole".

Playmaker lo convince?
"Può fare anche quello, l'importante è che abbia a fianco chi possa aiutarlo, non puoi chiedergli di portare anche l'acqua. Per mio pensiero lo avvicinerei alla porta, ma Conte allena e io no...".

Conte ha perso la vocazione offensiva di inizio carriera?
"Il calcio è fatto di equilibri... Al tempo mantenere il 3-3-4 in Serie B ad esempio diventava già molto difficile. Ci sosteneva però il fatto che i due esterni d'attaco non rientrassero lateralmente, ma nel mezzo, sostituendosi ai centrocampisti, che andavano invece a raddoppiare sugli esterni avversari aiutando i difensori. Lavoravamo molto su quella che oggi chiamano seconda palla, eravamo obbligati perché col portiere si andava lungo per poi riprendere la respinta prima della gestione: ci allenavamo su questi aspetti specifici ogni giorno".

Lei è convinto che Ibrahimovic e Lukaku abbiano sbagliato perché il loro messaggio arriva ai bambini?
"In effetti io, da allenatore, quando dovevo educare un giocatore della prima squadra pretendendo certi atteggiamenti da lui, tante volte non riuscivo perché per loro è più normale pagare una multa che cambiare atteggiamento. Ad ogni giocatore allora ho affiancato un gruppo di bambini della scuola calcio, facendoli spogliare vicini così che facessero loro da esempio, e sono riuscito a responsabilizzare i più grandi. Dobbiamo avvicinare i campioni ai bambini, non allontanarli perché sì, capiscano che sono esempi".

Ci racconta Zamparini? Manca al calcio?
"Son personaggi passionali... Io l'ho vissuto poco, non c'era un rapporto tra me e lui, ma un intermediario che davanti a me si mostrava come un fratello e poi non è stato così. Mi son fidato, e ho sbagliato: il rapporto tra allenatore e presidente deve essere diretto. Un po' come succede in Inghilterra. Comunque Zamparini ha fatto delle belle cose tra Palermo e Venezia, ma oggi presidenti così fanno fatica ad avvicinarsi al calcio. E soprattutto non trovano persone vere e sincere: anche i presidenti hanno diritto ad un sogno, e bisogna dargli la possibilità di farlo. Io sono nel calcio dilettantistico, e anche lì dirigenti e allenatori non riescono a sognare. Mai".

Il sogno Serie A conferma la bontà dell'ambiente Cittadella: ma è replicabile?
"Sì, se torni a pensare a certe cose. Lì ci sono ancora magazzinieri e responsabili del campo fin da quando sono passato io. Come in tutte le cose, non solo il calcio, contano le persone. Io nel mio contratto misi voci diverse fino alla Serie B, e il presidente, abituato a una vita tra Interregionali, mi diede del pazzo. Ma io dissi che non era così, non contavano i soldi ma gli uomini: si poteva fare, contava non perdere di vista l'obiettivo. Dacché raccoglieva ferri vecchi è diventata una delle più grandi realtà siderurgiche d'Europa, e dopo un po' mi contattò dicendomi: regalami un sogno, portami in Serie A. Ancora oggi ci stanno provando".

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