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TMW RADIO - D'Amico: "Questo Fair Play Finanziario è sbagliato"

di Aleandro Laudadio
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SCANNER: Che fine ha fatto il fair play finanziario? Con Giulio Dini e Niccolò Ceccarini . In collegamento Andrea D'Amico
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L’agente Andrea D’Amico è stato ospite a Scanner, trasmissione condotta da Giulio Dini, nel classico appuntamento del lunedì a TMW Radio, rilasciando le seguenti dichiarazioni sul tema del Fair Play Finanziario: “È un discorso molto ampio e variegato. Se c’è una regola, va rispettata e non andrebbe aggirata come ha fatto il PSG tramite sponsorizzazioni che provengono dagli stessi centri di interesse. Ceferin va a braccetto con Al-Khelaifi. Questo fair play è sbagliato perché io non sono per l’economia dirigista nello sport: ognuno che ha soldi da spendere può onorare i propri debiti, mettendo del denaro fresco nel sistema che fa del bene anche ad altri club. Chi mantiene lo sport sono i diritti televisivi e la gente paga per vedere l’eccellenza. Ad esempio, lo Zenit non può spendere perché deve stare dentro il FFP, pur avendo dietro Gazprom. FFP significa che i grandi rimarranno sempre grandi e i piccoli sempre piccoli. È sbagliato concettualmente, è una sorta di sistema creato dai politici dell’UEFA per allargare il loro consenso a livello elettorale in Europa, per prendere voti dai Paesi piccoli e dalle squadre piccole, ma questo non funziona. Quando arrivano grandi giocatori, fanno bene a tutto il sistema nazionale”.

Sul possibile adattamento al sistema americano
“Troppe regole, nessuna regola. Il problema è ripensare il sistema calcio in maniera globale, vista anche la situazione economica di estrema difficoltà. L’azienda calcio paga le tasse come fosse un’azienda profit normale, ma viene sempre tassata. Deve diventare più attraente il sistema, l’area sportiva di retrocessione e promozione porta ai fallimenti delle squadre: pensiamo al Carpi, al Chievo. Una volta i diritti televisivi venivano divisi egualmente pro capite, ora non è più così, non c’è più equilibrio”.

Aiuterà questo sistema che va incontro ai ricchi a eliminare il pericolo della Superlega?
“Penso di no perché la Superlega muoveva da un ragionamento volto ad avere, per le squadre più grandi, la certezza di partecipare ogni anno alla competizione che giustifica il loro budget. Se il campionato terminasse domani, la Juventus sarebbe retrocessa. Per i puristi ciò sarebbe giusto, ma dobbiamo rapportarci al mondo reale e dobbiamo pensare che, se fallisce una grande società, è una diseconomia per tutto il sistema. Dobbiamo creare attrattiva. Un imprenditore, in questo sistema, non è invogliato a investite in Italia perché sarebbe troppo rischioso. Il nostro è un calcio che andava bene cinquanta, sessant’anni fa. La UEFA non paga nessuno e si tiene l’80% dei proventi. Ma è stato ridicolo sentire i proprietari di club scusarsi con i loro tifosi dopo il fallimento del progetto”.

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