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TMW - Guardiola: "Messi e Haaland hanno in comune il senso del gol. Scudetto? Spero Sassuolo"

di Simone Dinoi
Fonte: inviato a Cuneo
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Pep Guardiola è protagonista dell'evento “”Dialoghi sul Talento con Pep Guardiola, promosso dalla Fondazione CRC in collaborazione con Fondazione Vialli e Mauro per la ricerca e lo sport Onlus e Fondazione Guardiola e con il supporto di Collisioni: “Non ero un allenatore all’inizio da giocatore in campo, prima giocavo perché mi piaceva giocare. A 26-27 anni ho iniziato a guardare il calcio con occhi diversi e capirlo”.

Sul periodo in Italia: “Quando ho iniziato a giocare a calcio la Serie A era il campionato più forte, il Milan di Sacchi, la Juventus”.

Sul passaggio da giocatore ad allenatore: “Sono andato molto bene ad allenare la seconda squadra a 37 anni. Avevo una partita a settimana, ti dà una mano nel processo. Non ci sono conferenze, media. Primo: mi piaceva. Secondo: allenare i ragazzi 17-18 anni è lo stesso. Anzi no: Messi ti fa vincere, gli altri no. Ma è lo stesso quando parli prima della partita e dopo l'allenamento, sono persone. Le cose fondamentali sono le stesse. Cambia un po', ma il livello di calcio è lo stesso".

Sull’avvio al Barcellona: “Ho avuto una fortuna: mi hanno scelto. Passavo di lì, avevo persone che avevano fiducia in me. Potevano scegliere qualsiasi altro allenatore del mondo e sarebbe stato più facile. Il successo dell'allenatore è passione. Ma non ho conosciuto un tecnico senza passione, senza lavoro. Giocatori straordinari. E una società ben organizzata, la struttura su di me che mi proteggeva 100% al di là del risultato. Quando uno ha questo... Senza queste cose un allenatore non ce la fa. In questi anni non ho mica fatto un gol, parato un rigore. Posso dare un'idea. Alla fine la decisione è dei giocatori".

Sul post triplete: “Voglio essere amato. Tutto quello che facciamo è per essere amati, lotto per quello ogni giorno. Devono lottare tra loro, non me ne frega niente, è un business ma la prestazione deve andare al massimo. Poi si perde: pazienza, si vince la prossima settimana. Ora abbiamo vinto il Triplete, che facciamo? Ci lavoriamo bene o proviamo a vincere o ci sediamo e vediamo come eravamo bravi quando Lukaku ha sbagliato da due metri? O quando Courtois l'ha fermato con i tacchetti”.

Sulla rinuncia ad alcuni princìpi in cambio di vittorie: “Noi ci alleniamo per arrivare bene alla partita. Ho visto tanti giocatori che si allenavano bene e poi se la facevano addosso. Mangiamo bene, lavoriamo bene, poi arriva la partita. Vuoi andare a ballare fino alle 4 con la tua ragazza? Benissimo, ma devi arrivare bene. Io me ne accorgo, è una lotta tra di loro. Chi ha talento non corre e lascia farlo agli altri? No, non funziona così”.

Su Messi: “È il più forte che abbia mai visto. La prima impressione come l’ultima. Maradona l’ho visto ma Messi l’ho visto in allenamento, nelle difficoltà. Arriva dall’Argentina distrutto, la prima parte della partita non la gioca, eravamo 0-0. Gioca gli ultimi 20 minuti e vinciamo 3-0 con suoi tre gol. Maradona ai suoi tempi sicuramente è stato più forte, ma io, mi dispiace per tutti gli altri, ma lui è un’altra roba”.

Su Haaland: “Ha in comune con Messi il senso del gol, Messi era più trequartista ma dagli una palla vicino all’area di rigore e fa gol. Quel confronto in campo con Haaland dopo i due gol? Non sono orgoglioso di averlo fatto in campo, doveva farlo nello spogliatoio. Ma so che con lui posso farlo, con qualsiasi altro non posso. Velasco mi ha insegnato questo, non puoi trattare i giocatori tutti allo stesso modo perché ognuno ha il proprio carattere. I giocatori devono preoccuparsi se l’allenatore non urla, si sta 11 mesi insieme, se non si crea un rapporto è più difficile”.

Su Baggio e Mazzone: “Essere allenato da Mazzone, aver giocato con Baggio… Questo è quello che resta, non i titoli che sì ti danno la voglia di lavorare. Ma restano le persone e l’esperienza di aver lavorato con loro. Ho conosciuto Baggio dopo 7 operazioni, non poteva camminare. Se gioca così - pensavo - non oso immaginare ai tempi della Fiorentina, della Juventus... Quanto condiviso con lui è stato indimenticabile. Baggio è sempre presente. Non gli ho pagato nemmeno il biglietto, l’altra volta era allo stadio. La prima volta che mi ha visto Mazzone mi ha detto “Non ti volevo” e mi son detto “Cominciamo bene l’esperienza italiana”. Lui era un allenatore vecchia scuola, poca tattica, due parole a tutti con impatto e carisma. A seconda della situazione reagiva diversamente. Quella reazione di Mazzone? Ho pensato “Questo è il mio allenatore?!”.

Sul bacio alla medaglia da secondo: “Arrivare in finale di Chmapions è un successo incredibile. Essere la seconda squadra più forte d’Europa in quell’anno… Grandissima tristezza ma faccio parte della seconda squadra più forte, mi devo vergognare per quello? No, ci devo provare l’anno prossimo. Nel calcio si perde più che si vince, l’importante è provarci. Oggi ai ragazzi mettiamo una pressione incredibile, se non diventi Guardiola sei un disastro… Non è così. I ragazzi devono fare quello che gli piace, andare avanti così. Io metto tutto ma la vita a volte non va come ti aspetti, perché ci sono anche gli altri bravi. Il Chelsea di Tuchel meritava di vincere, se le cose non vanno bene non dobbiamo pensare noi stessi che non siamo capaci. Ti diranno che non sei capace, ma solo tu lo sai”.

Rivincita Champions: “No, prima o poi arriva, quando hai buoni giocatori e una buona società prima o poi arriva. Il post? Quello è il più difficile, ma qualcosa troviamo ogni volta. Quando ha già fatto tutto chiaramente è più difficile”.

Su giocare in contropiede: “Sì, se fossi sicuro di vincere sì. Il problema è che non sicuro di questo. Le azioni di contropiede mi piacciono, non organizzarsi solo col contropiede”.

Su come sviluppare i giocatori: "Lasciandoli andare un po', per sfruttare al massimo il talento. Provando ad anticipare ciò che accadrà. Poi il talento lo devi lasciare libero".

Su chi vince lo scudetto: "Mi auguro il Sassuolo".

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