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Roma, Fonseca: "Non capita a tutti di sfidare lo United. Difesa e contropiede? Non è il mio stile"

di Ivan Cardia
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

Grande sfida per la Roma di Paulo Fonseca. Alla vigilia della semifinale di andata di Europa League contro il Manchester United, il tecnico portoghese ne ha parlato a ESPN

È la partita più importante della sua carriera?
“Sì, ovviamente. E siamo tutti entusiasti di poterla giocare, è una grande occasione per il club, ma anche per la città e per i giocatori. Non capita a tutti di sfidare il Manchester United in una semifinale europea”.

Il caso Dzeko, lo 0-3 per Diawara, l’infortunio di Zaniolo, poi quelli Smalling, Pedro e Mkhitaryan. Aveva mai affrontato così tante sfide?
“È stata una nuova esperienza per me e ovviamente è stato difficile allenare in tutte queste situazioni. Soprattutto gli infortuni sono difficili da gestire, specie se arrivano in momenti chiave come per esempio quello di Miki. Poi c’è da considerare che giochiamo ogni tre giorni: la Serie A è molto dura e stiamo lottando con sette squadre per un posto nelle prime quattro. Eravamo in corsa fino agli ultimi infortuni di marzo, ora questo trofeo per noi è fondamentale”.

Il Manchester United soffre difesa e contropiede. Ma non giocherete così, vero?
“No, non mi piace aspettare e contrattaccare. A volte può capitare, per esempio è successo al ritorno con l’Ajax, ma non è il mio stile di gioco. È vero che loro hanno tanti ottimi giocatori d’attacco, molto veloci: è gente in grado di decidere qualsiasi partita in qualsiasi momento, gli basta un secondo. Dovremo essere preparati, ma non possiamo andare lì a difenderci. Dobbiamo controllare il pallone, prendere iniziative ed essere coraggiosi”.

Difendere con la linea alt alle ha portato qualche rischio in stagione.
“Penso che sia accaduto perché abbiamo commesso degli errori, magari perdendo la palla a inizio azione. E abbiamo pagato a caro prezzo questi errori. È uno stile di gioco che può essere molto rischioso, ma alla lunga penso dia i suoi frutti”.

Bruno Fernandes è il giocatore chiave dello United. È sorpreso dal fatto che sia esploso così tardi?
“È fantastico, l’ha dimostrato allo Sporting e ora anche a Manchester. È vero che è arrivato un po’ tardi, ma ha imparato tanto, anche in Italia. Mi colpisce la sua personalità: ha tanta qualità, ma è anche un leader, un lottatore. Non sono sorpreso del fatto che sia diventato un leader del Manchester United”.

Resta sorprendente che uno come lui sia rimasto fuori dal giro dei top club fino ai 23 anni.
“Devo confessare che non è facile dare ai giovani tante possibilità, quando sei in una grande squadra con grandi aspettative. C’è tanta pressione e serve grande personalità. Prendete Zaniolo: è coraggioso, ha tanta forza di volontà. Per questo non si vedono molti giovani come titolari nelle big. Molto dipende dal carattere: quando c’è quello, penso che l’età non conti”.

Pogba gioca spesso largo. Conta più il giocatore o il sistema?

“Entrambi, ma il sistema deve sempre rispettare le caratteristiche dei giocatori. Se Pogba gioca lì, lo farà in modo diverso che un’ala tradizionale. Cambierà tutto e se cambia in meglio vuol dire che da allenatore hai indovinato. Il calcio sta diventano sempre più strategia, gli allenatori fanno piccoli cambi che gli consentono di vincere. È la cosa giusta da fare, e devi avvicinarti a ogni partita in modo diverso”.

Cosa l’ha sorpresa della Serie A dal punto di vista tattico?
“Ogni gara del campionato italiano è una sfida tattica, perché tutti gli allenatori cercano di avere vantaggi da questo profilo. Squadre come Atalanta, Verona o Bologna giocano uomo su uomo per tutta la lunghezza del campo. Ma non succede solo in Italia, penso a quello che ha fatto il Leeds di Bielsa domenica, proprio contro il Manchester United. È stato difficile per loro, ed è difficile per noi quando i nostri avversari lo fanno in Italia”.

Può essere un trend?

“Il calcio si sviluppa nel corso degli anni, ma è anche sempre ciclo. Forse stiamo tornando un po’ al passato, si vedono tante squadre che passano all’uno contro uno: quando giocavo, tutti lo facevano a zona. Non sono un fan della marcatura a uomo, ma a volte dà risultati. E devi sapere contro chi giochi”.

Cosa pensa della Superlega?
“Quando ho letto la notizia, all’inizio ero molto preoccupato. Ora sono molto orgoglioso di fare parte di questo gioco, abbiamo dato un esempio al mondo. La cosa che conta di più sono i tifosi. Capisco che i grandi club vogliano più soldi, ma sono anche quelli che ne spendono di più. Sono loro che pagano 100 milioni a giocatore e questo crea problemi per le piccole. È puro egotismo. Per questo ringrazio i tifosi, i giocatori, gli allenatori e tutti coloro che hanno preso posizione contro la Superlega: avrebbe potuto uccidere il calcio vero. E penso che quello che è successo in Inghilterra, con i tifosi in strada a farsi sentire, sia stato fantastico. Sono davvero orgoglioso di loro”.

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