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#iorestoacasa - Le storie della buonanotte: Socrates, la Democrazia Corinthiana e l'Italia grazie a Gramsci

di Simone Bernabei
#iorestoacasa - Tuttomercatoweb.com propone ai suoi lettori delle storie di calcio per tenerci compagnia in queste giornate tra le mura domestiche
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Era il 19 febbraio del 1954 e a Belém, città della regione amazzonica del Brasile, nacque uno dei più controversi talenti del calcio brasiliano che la storia ricordi. Spoiler: il racconto sarà infarcito di aneddoti, citazioni e storie di vita. Perché Socrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira, per tutti semplicemente Socrates, è stato uno dei più talentuosi calciatori di uno dei Brasile più belli (e meno vincenti) di sempre. Ma anche, anzi soprattutto, tanto tanto altro.

Infanzia e soprannomi - Socrates aveva un fratello famoso, forse non altrettanto ma comunque ben noto, Raì. Ma oltre a lui, in famiglia c’erano anche altri 4 fratelli, fra cui Sostenes e Sofocles. L’origine dei nomi è piuttosto chiara ed evidente, il motivo un po’ meno: il padre Raimundo era povero di tasca e affamato di sapere, tanto che riempì la casa di libri e testi antichi. E il nome Socrates venne fuori dopo che il padre aveva letto ‘La Repubblica’ di Platone. Con un background del genere, per lui fu semplice appassionarsi allo studio. Laureatosi in Medicina, Socrates decise di non praticare l’attività per dar seguito alla passione. Iniziò a giocare nel suo Botafogo, quello della città di Ribeirao Preto che prendeva ispirazione dal più famoso club di Rio de Janeiro. I colpi furono chiari ed evidenti fin da subito, i soprannomi invece nacquero col tempo: ‘O Magrao, ‘O Filosofo, ‘O calcanhar que a bola pidiu a Deus (letteralmente, il tacco che il pallone chiese a Dio), il Che Guevara del futbol e, alla fine, quello forse diventato più mainstream: ‘O Doutour, il Dottore.

Socrates, il calciatore - Si è sempre definito un centrocampista al servizio della squadra. Nonostante i suoi 192cm, di scarpe calzava il 38, numero insolito per un giocatore e soprattutto per un giocatore così alto. Si muoveva in mezzo al campo con passo cadenzato, quasi compassato a volte. Ma sempre a testa alta, proprio come nella vita fuori dal campo. E accipicchia se segnava. In carriera, da centrocampista, saranno oltre 200 le reti realizzate. Sul campo prediligeva verticalizzazioni e calcio palleggiato, in area era pericoloso con inserimenti e colpi di testa. E la sua forte personalità lo portò ad indossare anche la fascia di capitano di quel Brasile di cui prima, in squadra con gente del calibro di Zico, Falcao e Cerezo.Un limite che trasferì anche a quella Seleçao? Una leziosità a tratti esagerata. Col colpo di tacco divenuto suo vero e proprio tratto distintivo. Una sorta di firma, da apporre ogni qualvolta scendesse in campo.

Democracia Corinthiana - I grandi club non tardarono ad interessarsi a lui. Arrivò al Corinthians relativamente tardi, a 24 anni, e mai squadra fu più indicata per un calciatore. Il background del club era perfetto per un “uomo di sinistra e anticapitalista”, come amava definirsi. Il Corinthians infatti rappresenta la parte popolare della popolosa e variopinta San Paolo. Arrivò nel Timao nel ’78 e vinse subito un campionato. Quindi una stagione fallimentare, prima della svolta storica. Epocale. Inaspettata, soprattutto per il contesto politico in cui si sviluppò. Il Brasile infatti era in regime dittatoriale (durò dal ’64 all’85) dopo il colpo di stato guidato dalle forze armate e supportato, fra gli altri, dall’allora governatore dello stato di San Paolo Adhemar de Barros. Nell’81 i vertici del club cambiarono ed il nuovo presidente scelse Adìlson Monteiro Alves come direttore tecnico. Un sociologo di professione. Che trovò terreno fertile in calciatori illuminati della rosa: oltre a Socrates, Zenon, Casagrande, Wladimir e Palhinha. In questo elaborato contesto sociopolitico, non si sa bene come, si creò l’humus perfetto per uno dei più grandi esperimenti sociologici della storia. “Democracia Corinthiana”, una cellula socialista senza scala gerarchica. Dove il magazziniere conta quanto il presidente, il calciatore come il segretario. Tutto è deciso insieme e attraverso votazioni: orari e menù dei pasti, trasferte, mercato, formazioni. Tutto. Ah, ovviamente i ritiri prepartita furono cancellati, troppo vicini a forme di controllo malviste. Una sorta di libertà e di istituto democratico dove il regime opprimeva il popolo da troppo tempo. Vinsero due campionati, quei ragazzi del Timao. E mandarono tanti e tanti messaggi: “Libertà con responsabilità”, “Vincere o perdere, ma sempre con democrazia”, “Vogliamo votare il nostro presidente” erano solo alcuni degli slogan piazzati sulle maglie da gioco al posto degli sponsor.
In quegli anni Socrates si avvicnò alla politica e supportò il movimento “Elezioni ora”. Davanti a oltre 1 milione di persone, in un comizio, fece intendere come avrebbe rinunciato al trasferimento in Europa se solo fosse passato l’emendamento per introdurre elezioni dirette del presidente. I fatti, senza troppe spiegazioni, ci dissero come andò a finire.

La Fiorentina - “Non ci tengo ad essere un campione di calcio, quanto piuttosto un uomo democratico. Anzi, un brasiliano democratico”. Si presentò così all’aeroporto di Fiumicino, nell’estate dell’84, Socrates. Ad attenderlo c’erano i dirigenti dell’ambiziosa Fiorentina guidata da De Sisti e Valcareggi, con cui giocò 25 partite e segnò 6 reti. Ma le parole che crearono scalpore furono altre: “Chi è l'italiano che stimo di più, Mazzola o Rivera? Non li conosco. Sono qui per leggere Gramsci, in lingua originale, e per studiare la storia del movimento operaio”. La sintesi socratica perfetta, dell’uomo e del calciatore. La sua esperienza italiana, col senno di poi, fu un fallimento e infatti durò un solo anno. Troppo duri gli allenamenti, troppo tattico il campionato, troppo forte la nostalgia di casa. E dopo birre, sigarette e infiniti discorsi politici, Socrates fece ritorno in Brasile, fra Flamengo e Santos.

Le stravaganze. Di comportamento e di pensiero - Aveva la barba lunga. E praticamente era l’unico ad azzardare questo look, al tempo. Amava John Lennon e Che Guevara, leggeva Platone, Machiavelli e Hobbes, oltre a Gramsci. Dichiaratamente di sinistra, si dice che iniziò a seguire questa corrente politica dopo che il padre, nei mesi del golpe militare, diede fuoco ad un libro sulla rivoluzione bolscevica. Ma andando oltre e tornando al calcio, aveva idee stravaganti anche a livello regolamentare: il gioco dell’epoca, a suo dire, era in realtà un'evoluzione atletica del calcio originale, del futebol di strada e di spiaggia. Gli spazi, in quel campo, erano troppo intasati per lasciare libero sfogo al talento e al divertimento. La soluzione? Semplice, ridurre il numero di giocatori. Con partite da 9 contro 9. Una volta chiuso col calcio si reinventò in nuove carriere: provò a fare politica, incise un disco, fece il giurato al Carnevale di Rio. Ma soprattutto continuò a bere, e a fumare, come e più di prima.

L’ultimo sogno realizzato - L’alcool diventò un grande problema alla lunga e per quel motivo fu spesso ricoverato in ospedale, fino alla morte avvenuta il 4 dicembre del 2011. Parecchi anni prima, era l’83, Socrates si era lanciato in una previsione, o forse aveva semplicemente raccontato un sogno: “vorrei morire di domenica, nel giorno in cui il Corinthians vince il titolo”. Da non credere. Prendete il calendario e aprite gli almanacchi, se non ci credete: domenica 4 dicembre, proprio mentre il suo corpo veniva sepolto, il Corinthians pareggiò lo scontro con Palmeiras (al Pacaembu, stadio oggi trasformato in ospedale da campo a causa dell’emergenza Coronavirus) e si aggiudicò il titolo di campione di Brasile. I giocatori, a fine partita, inscenarono un minuto di silenzio a centrocampo col braccio destro alzato ed il pugno chiuso. Che poi era l’esultanza tipica di Socrates, nonché gesto riassuntivo di quella che è stata la sua intensa e a tratti incomprensibile vita.

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Martedì 23 Aprile 2024
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