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#iorestoacasa - Le storie della buonanotte: Jean Marie Pfaff, il portiere dai guanti enormi

di Andrea Losapio
#iorestoacasa - Tuttomercatoweb.com propone ai suoi lettori delle storie di calcio per tenerci compagnia in queste giornate tra le mura domestiche
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Jean Marie Pfaff nella sua carriera è stato ricordato più per il suo essere istrione, quasi clownesco, che non per il fatto di avere difeso la porta del Bayern Monaco oppure per avere vinto il premio di portiere dell'anno nel 1987, quando la porta del suo Belgio era oramai difesa da quello che ne è stato l'erede naturale, Preud'homme, di qualche anno più giovane. Secondo Pfaff la sua esclusione fu dovuta a "politiche commerciali" e non per una possibile e plausibile scelta da parte del commissario tecnico, Gus Thys. Sessantaquattro presenze in Nazionale, avrebbe preferito essere il giocatroe con più gettoni di presenza.

VENDITORE DI TAPPETI - I genitori di Jean-Marie erano degli ambulanti, con una famiglia decisamente numerosa e più adatta all'ottocento che non a metà novecento: undici figli, sei maschi e cinque femmine. I primi avevano costruito una piccola squadra per le partite di quartiere, conosciuta anche come i Diavoli Rossi, esattamente lo stesso nomignolo dei calciatori del Belgio. Jean Marie era un gentile omaggio a chi dava da mangiare al padre Honoré, nella sua trattoria di fiducia. Denominato Patapouff, per la stazza non filiforme, incomincia a giocare in porta. Fino, nel 1970, a esordire con il Beveren, diventando presto il portiere della Nazionale. Ma non prima di una storia abbastanza comune per i calciatori di quel periodo storico: era solo un hobby, prima bisognava andare in fabbrica a raccogliere i soldi per sfamare la famiglia.

IL PASSAGGIO AL BAYERN MONACO - Una cosa è giocare in Belgio, un'altra è arrivare in Germania. E combinare subito un disastro, perché da una rimessa laterale sulla sinistra dell'attacco del Werder Brema, la sua uscita alta favorì, per così dire, l'1-0 finale. O meglio, una papera abbastanza colossale che rischiava di essere una croce sulla carriera. Per dare una dimensione, come Goycoechea nella Roma di Zeman di qualche anno fa, forse stilisticamente peggiore. In un'era diversa, senza social e senza youtube, l'errore di Pfaff prese i giusti contorni e non ebbe cassa di risonanza. Pure se aveva un nomignolo da clown, dovuto anche al fatto dell'enorme immensa stima di sé: "Merckx nel ciclismo, io nel calcio". Insomma, Qualcuno doveva anche dargli un po' di fiducia per parlare di sé in questa maniera.

SOLO L'INIZIO - La carriera di Pfaff è costellata da episodi strani, che ben combaciano con quella idea dei portieri che racconta della spericolatezza, della latenza di regole, di quel voler essere volanti pur rimanendo prigionieri della propria porta. Come quella volta, Europei 1976, Cruyff gli segnò un gol e lui decise di andarsi a complimentare. Oppure quando, appoggiato al palo, decise di mangiarsi una mela che gli era piovuta dagli spalti. Durante il Mondiale 1982 optò per una fuga dal ritiro belga, vestito da infermiere. Un rigore parato a Kaltz lo riabilitò agli occhi del Bayern Monaco, un po' meno le parole contro il portiere della Germania, Schumacher, dopo l'uscita sul francese Battiston, dove decise di apostrofarlo come criminale. Nel Mondiale 1986 invece bollò Maradona come "niente di speciale": risultato finale 2-0, doppietta del Pibe de Oro, e scambio maglia-guanti fra Pfaff e il numero 10 albiceleste.

L'ULTIMA VITA - El Simpatico, per via della sua maglietta in onore della Signora in Rosso, decise di smettere a inizi anni novanta, creando però una grandissima festa per il suo addio al calcio, sul campo del Beerschot. Da una parte il Belgio degli anni ottanta, di fronte una selezione di alcuni fra i migliori giocatori come Beckenbauer o Milla, Krol, Giresse o Lerby. Dopo decise di aprire un'azienda di vini, ma soprattutto fu il protagonista di un reality show, "The Pfaffs". D'altronde da chi aveva i guanti da clown era difficile aspettarsi qualcosa di diverso.

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Domenica 5 Maggio 2024
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