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#iorestoacasa - Le storie della buonanotte: Banks, il muratore della parata del secolo

di Andrea Losapio
#iorestoacasa - Tuttomercatoweb.com propone ai suoi lettori delle storie di calcio per tenerci compagnia in queste giornate tra le mura domestiche
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Gordon Banks non ha avuto la classica storia del bad boy inglese. Quello notato molto presto da un settore giovanile e magari tolto dalla strada, avendo però alcuni problemi di comportamento. Non era George Best, cresciuto nei quartieri di Belfast e probabilmente non il migliore nemmeno tra i suoi amici. Prima giocava per una squadra di minatori, salvo poi dover portare il carbone a un'età ben al di sotto di quella maggiore. Il suo lavoro mutò ancora, di lì a breve, perché a 15 anni faceva il muratore. Una parabola ben diversa da chi entra nel del grande calcio dalla porta principale, ma non per questo meno nobile. Così, dopo un provino passato al Chesterfield, svolge la leva obbligatoria in Germania - nel dopoguerra, nel momento immediatamente precedente alle rivoluzioni dell'est europeo e dai carrarmati in Ungheria - e vince la Coppa del Reno con il suo reggimento, pur non avendo ancora esordito in prima squadra, in terza divisione, cosa che succederà solamente nel 1958.

LA WORKING CLASS - Il passaggio al Leicester, l'anno dopo, costò circa 7000 mila sterline. Doveva essere la riserva di McLaren, presto diventò il primo portiere, conquistandosi la prima divisione. Il suo stipendio però era ben lontano da quello milionario dei calciatori di oggi, tanto che per l'estremo difensore che giocò 4 finali in 5 anni - due di Fa Cup e due di lega - la differenza con un lavoratore normale era risibile. Insomma, nel Mondiale 1966 arrivò una squadra che era l'inno della classe lavoratrice, lontanissima antenata dal mondo dei lustrini che ora vive il pallone. Il guadagno medio di Banks era di 20 sterline a settimana, al momento del primo rinnovo arrivò a 35. La cosa differente rispetto ai calciatori di oggi è che tutti vivevano all'interno della comunità, firmavano autografi per lo status di professionisti e per quello che rappresentavano, più che per la possibilità di essere sotto i riflettori e guadagnare milioni di euro. Il calcio era ancora poesia e tutti cercavano di lavorare per migliorarsi, in un'epoca antidiluviana per videogiochi e social network, ancora inesistenti per quarant'anni a venire.

WE'RE GONNA WIN IT - È la frase con cui sir Alf Ramsey decise di parlare prima della squadra, prima di quel Mondiale casalingo del 1966. Banks era diventato titolare della nazionale tre anni prima, indossando la fascia da capitano appena prima della manifestazione iridata. L'Inghilterra non aveva mai vinto un Mondiale - e di fatto è stata l'unica occasione, pur macchiata dal gol fantasma di Hurst - ma arrivava dopo 12-14 partite senza sconfitte, nelle amichevoli. È chiaro ed evidente che qualcosa può cambiare, che il calcio è spinto da un pallone rotondo che può portare la Germania a battere l'Ungheria nonostante il 2-0 iniziale e i favori del pronostico fosse tutti per i magiari, come nel 1954. Le parole di Ramsey, però, echeggiavano come una remota possibilità, considerato il Brasile che per due volte di fila aveva vinto (1958 e 1962) avrebbe alzato la Coppa nel 1970. L'unico buco temporale è quel 1966: non c'erano vie con Ramsey, se non quella dell'obbedienza. La storia cambia contro l'Argentina: Rattin viene espulso, l'Inghilterra vince e si rischia una guerra negli spogliatoi, ma incredibilmente non succede granché se non qualche vetro rotto.

LA COLPA DI BONETTI - Dopo il Mondiale 1966, vinto quasi incredibilmente nella finale contro la Germania, quattro anni dopo ci fu la rivincita. Stavolta l'Inghilterra non uscì vincente, ma Gordon Banks non c'era. Sconfitta contro il Brasile - capitolo a parte - c'erano state le vittorie contro Romania e Cecoslovacchia, dove Banks non aveva preso gol. Il giorno prima della partita, dopo aver mangiato un toast, il portiere titolare si sente male e nell'undici di partenza viene schierato Bonetti. La vittoria per 3-2 della Germania, nella vendetta servita fredda e a un Mondiale di distanza, pose fine alla rassegna di Mexico 70 per l'Inghilterra.

LA PARATA DEL SECOLO - Il sette giugno del 1970, all'estadio Jalisco di Guadalajara, Jairzinho salta secco l'avversario e crossa in mezzo, con una velocità che può sembrare quella di un ottimo velocista della fascia di ora. Pelè, vicino al dischetto del rigore, salta più alto di tutti e riesce a schiacciare verso l'angolino, urlando al gol almeno finché non torna a terra. Considerando quanto avrebbe saltato in finale, contro Burgnich e inchiodando Albertosi, tutto sembra estremamente simile. Il galleggiare nell'aria, la frustata. Poi però Zoff non ci arrivò, mentre Banks volò alla sua destra, calcolando anche il rimbalzo del pallone, e smanacciò in angolo, sopra la traversa. "Sarò ricordato più per questo che per il resto", diceva quando era ancora in vita. Niente di più vero, perché è una sorta di passaggio di consegne, un testimone che passa da Yashin a Banks nella storia del calcio. Un colpo di istinto tanto bello quanto quasi irripetibile, perché lo stesso Banks pensava di avere preso gol.

BANKS OF ENGLAND - Figlio di una famiglia indigente, quattro figli, dovette lasciare la scuola praticamente subito, in adolescenza. Cresciuto a Sheffield, con il sogno di giocare per il Wednesday o lo United - una delle due giocava sempre in casa, con gli stadi degli anni cinquanta, ben lontani da quelli di proprietà cresciuti dopo Euro1996 - ma il sogno iniziato perché nessuno voleva giocare in porta. La questione soldi è comunque centrale: vendette la propria medaglia del 1966 per aiutare la propria famiglia, ma poi gli regalarono una replica, da parte dello Stoke City, davanti a tutto lo stadio. Nella strada dove viveva, al momento del rientro, campeggiava una scritta: "Ben fatto Banksy". Il 12 febbraio del 2019, all'età di 81 anni, Gordon Banks ha salutato tutti per tornare tra i pali, con molti dei suoi compagni di squadra del 1966.

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