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Il fratello di Mihajlovic: "Dal sogno di allenare la Lazio all'abbuffata di Ibra, vi racconto Sinisa"

di Dimitri Conti
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Ad un anno dalla scomparsa di Sinisa Mihajlovic (ricorreva ieri la data esatta dell'anniversario) il noto quotidiano serbo Telegraf ha intervistato il fratello dell'ex calciatore e allenatore, Drazen. Ecco alcuni dei passaggi principali di una toccante intervista.

Si comincia dalla più tenera età: "L'infanzia è stata spensierata e felice finché non abbiamo preso coscienza dei sacrifici fatti dai nostri genitori. Papà scambiava le scarpe che gli regalavano in azienda con quelle da calcio per Sinisa. In casa dividevamo tutto a metà e probabilmente è stato quel tipo di educazione a trasformarlo in un atleta di successo prima e in un grande uomo poi. Il giovane Sinisa era molto indisciplinato, spesso arrivava alle mani con ragazzi anche più grandi di lui. Ricordo poi il ricatto della Dinamo Zagabria: se non firmava con loro, non lo avrebbero convocato al Mondiale giovanile in Cile con la Jugoslavia. Non accettò e rimase a casa, i compagni vinsero e lui mentre festeggiavano era in lacrime".

Inevitabile la parentesi sulla guerra: "Una volta era in Spagna e telefonò perché aveva letto di spari a Borovo (la sua città natale, ndr) e ne sentì anche durante la chiamata. Mamma gli disse che era la tv, non voleva preoccuparlo. Quando è tornato a casa, non ha più trovato ciò che conosceva e riconosceva. C'erano bambini di dieci anni che imbracciavano fucili, un'immagine che gli è rimasta nella testa per tanto tempo". La guerra ha rischiato di dividere la famiglia: "Durante la finale di Bari (la Coppa dei Campioni 1991 vinta dalla Stella Rossa, ndr) un vicino di casa ha visto qualcuno che camminava nel cortile di casa nostra, riconoscendo nostro cugino. Avrebbe dovuto lanciare una bomba a mano, non lo fece perché suo fratello (lo zio dei fratelli Mihajlovic, fratello di loro padre) era lì, venuto a vedere la partita della Stella Rossa. Pensate che Sinisa gli ha salvato la vita una volta che Arkan (soprannome di Zeljko Raznatovic, guerrigliero, ndr) ha catturato lui e un altro paio di persone. Quando hanno capito che era lo zio di Mihajlovic della Stella Rossa, lo hanno cercato e lui ha parlato con Arkan. Lo hanno riportato a Belgrado".

Quindi racconta un aneddoto dell'addio al calcio giocato che ha visto coinvolto anche Zlatan Ibrahimovic, allora un giocatore dell'Inter: "Da ragazzo balcanico, ha chiesto di mangiare molte cose serbe: cercava pljeskavice, sarma, fagioli e gulasch. Gliele hanno portate a Milano e so che il giorno in cui è tornato non si è allenato. Diceva di avere un muscolo indolenzito, la realtà è che aveva mangiato troppo, aveva assaggiato di tutto". In Italia, Sinisa Mihajlovic è stato amatissimo: "Non me ne sono reso conto finché non se ne è andato, purtroppo. Certe strade completamente bloccate le avevo viste solo nei film, un autista mi disse che dovevo essere orgoglioso di mio fratello. Mi ricordò che era uno straniero, e così venivano salutati solo presidenti o primi ministri".

Si passa alla devastante parentesi della malattia: "Non riesco a descrivere l'amore meglio di Arianna (la moglie, ndr) che ha trascorso ogni minuto della sua permanenza in ospedale al suo fianco, ha sofferto insieme a lui. Dico un immenso grazie a quella donna. Durante una vacanza in Sardegna nel 2019, lo vidi una mattina che trascinava il piede: mi disse che non capiva cosa gli stesse succedendo. Una mattina di luglio squilla il telefono, era troppo presto per Sinisa. Avevo capito che gli era successo qualcosa, quando mi raccontò della leucemia ero sotto shock. Alla fine è stato più lui a confortare me che il contrario... E poi un altro trauma: come dirlo a nostra madre, anziana? Sono andato io da lei, non trovavo il modo, è stato davvero difficile. È stato un combattente per l'intera vita, non si è mai arreso. Finché c'è l'1% di possibilità ci si deve provare, accettò così di iniziare la battaglia. Per fortuna ha avuto il sostegno del club e il continuare ad allenare l'ha fatto andare avanti, deviando i pensieri".

Arrivano altri aneddoti, come il sostegno di Djokovic: "In ospedale ha fatto questa sorpresa a Sinisa. Nole è atterrato a Bergamo mentre andava in Spagna, lasciando in attesa la famiglia per lui. Questo racconta della grandezza di Djokovic come uomo, non erano amici, si conoscevano in quanto sportivi. Rispetto...". E poi Drazen racconta di quando suo fratello Sinisa non ha risposto al presidente della Repubblica serba Vucic perché non aveva il numero salvato in rubrica costringendolo a più messaggi per farsi "accogliere", ma anche la sua attività politica nel tentativo di fermare i bombardamenti NATO sulla Serbia tra il 1999 e il 2000. "Dai politici italiani ha avuto tanto appoggio. Quando era a Bologna è diventato cittadino onorario: ricordo che c'era un suo amico politico, lì però erano contrari al suo partito e per più di un anno non gli hanno voluto dare quel riconoscimento. Alla fine si accordarono".

Chiusura su cosa si aspetta venga fatto in patria in onore di Miha: "Sarebbe bello un museo a lui dedicato. Siamo una nazione di sport, mi sembra strano che nessuno abbia pensato a una Hall of Fame per gli atleti serbi, non solo calciatori". Magari ribattezzare in suo onore lo stadio della Stella Rossa? "Non so se esista questa idea, qualcosa c'è, ma nessuno ha preso l'iniziativa. Per quanto mi riguarda, sarebbe un grande onore vedere un impianto del genere portare il suo nome". Chiusura su due desideri che non ha esaudito: "Allenare la Lazio o la Stella Rossa. È riuscito ad arrivare alla Nazionale, anche se lì è andato avanti di cuore e non di testa". Una parola per descriverlo? "Angelo. Dall'animo buono e dal cuore grande".

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Giovedì 9 Maggio 2024
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