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ESCLUSIVA TMW - Mkhitaryan, una voce per l’Artsakh. La ONG: “Genocidio pulito, parlarne aiuta”

di Ivan Cardia
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Mai banale, Henrikh Mkhitaryan. Non lo è sul campo. Simone Inzaghi, se potesse, non lo toglierebbe mai dal campo e infatti lo fa molto di rado. L'Inter se lo vuole tenere stretto: i discorsi per il rinnovo sono avanzati e la fumata bianca è vicina, da capire pare esservi solo la durata del nuovo accordo. Mai banale, il centrocampista armeno. Non lo è nemmeno fuori dal campo. Da tempo, alla causa nerazzurra ne affianca un'altra, persino più rilevante. Come altre star armene o di origini armene - a settembre, per esempio, Kim Kardashian ha lanciato un appello direttamente a Joe Biden - Mkhitaryan si batte perché si parli del Nagorno Karabakh. E magari si faccia anche qualcosa.

Di cosa stiamo parlando. L'Artsakh - questo il nome armeno dell'area - è una regione, geograficamente appartenente all'Altopiano armeno, da anni al centro di un conflitto con l'Azerbaigian. Dal 1991, a seguito dello scioglimento dell'URSS, la regione si è autoproclamata indipendente, dando vita a una repubblica riconosciuta da pochi Stati non appartenenti all'ONU. Di qui, lo scoppio di una lunga serie di conflitti per il controllo dell'area: nel 2020, la seconda guerra del Nagorno-Karabakh si è conclusa con il ritorno di quasi tutto il territorio sotto l'egida dell'Azerbaigian e un accordo di cessate il fuoco. A partire da settembre 2023, al termine di un blocco stradale durato dieci mesi che ha portato diverse carestie nella regione, nuove offensive azere sulla capitale Stepanakert hanno riportato il panico nell'area, causando migliaia di morti e costringendo decine di migliaia di civili armeni alla fuga.

Qual è la situazione oggi? Per saperne di più, abbiamo raggiunto Patrick Armen Elliott, imprenditore canadese che vive da anni in Armenia, dove tra le altre cose conduce un podcast di successo: "Parliamo - spiega a TMW - di una regione storicamente abitata da armeni, dai tempi di Alessandro il Grande. Anche se non è solo questo il punto, perché l'Armenia è una democrazia consolidata, uno degli Stati con il tasso di corruzione più basso tra gli ex sovietici, inferiore solo alle repubblica baltiche. E oggi affronta una dittatura". Freedom House, fondata nel 1941 da Eleanor Roosevelt, attribuisce al Paese con capitale Yerevan uno score di 54 su 100 (l'Italia, per capirsi, è a 90) e la definisce uno Stato "parzialmente democratico". L'Azerbaigian, viceversa, non può contare sulla medesima considerazione: lo stesso ente statunitense si ferma a quota 8, che implica la definizione di "non democratico". Il governo è detenuto dal 2003 dal presidente İlham Əliyev, figlio e successore del precedente presidente Heydər Əliyev. Le mire azere sull'area dell'Artsakh hanno riportato in alto il computo delle vittime: "Dall'inizio dell'invasione - continua Elliott - perché io penso che vada definita così, sappiamo che circa duemila persone sono state massacrate. Ci sono notizie di stupri e nella regione non vive più nessun armeno: è una vera e propria pulizia etnica". Ad agosto, Luis Moreno-Ocampo, in passato primo Procuratore capo della Corte penale internazionale, ha sostenuto che sussistano le basi legali per poter parlare di genocidio.

Oltre centomila rifugiati. Al conto delle vittime, non ufficiale, si aggiungono i numeri, a prescindere da qualsiasi opinione sulla vicenda, di una oggettiva emergenza umanitaria. Haik Kazarian è nato in Armenia nel 1988: a cinque anni è emigrato con la sua famiglia in Canada, dove ha vissuto per venticinque anni. Nel 2018, ha fatto rientro a Yerevan, dove ha fondato la ONG Transparent Charity: "L'Artsakh è una regione vuota al momento, al massimo ci vivranno una ventina di armeni - spiega a TMW - e presto la Croce Rossa evacuerà anche loro. Non è chiaro cosa succederà in futuro. Oltre centomila persone sono scappate in Armenia: non sembrano così tante, ma stiamo parlando di una nazione che non arriva a 3 milioni di abitanti. Oggi c'è chi parla di genocidio e chi di pulizia etnica: io parlo di genocidio pulito, perché mi sembra che l'obiettivo sia questo e la strada per inseguirlo sia diversa da quella del 1915". Non è la prima volta, infatti, che la popolazione armena teme per la propria esistenza: tra il 1915 e il 1919 oltre 1,5 milioni di armeni furono sterminati dall'Impero Ottomano al termine di deportazioni di massa. "Per quanto riguarda i dati dell'Artsakh - prosegue Kazarian - la verità è che nessuno ha certezze: soltanto i media azeri possono accedere nella regione. Secondo alcune stime, 120 mila persone vivevano nella zona: circa 100 mila sono scappate in Armenia, e lì non c'è più nessuno. Delle due l'una: o le statistiche erano sbagliate, oppure i conti non tornano. Ma, in assenza di numeri certi, si parla di speculazioni che magari non dovrei nemmeno fare".

Una comunità rurale. E affamata. Una delle caratteristiche della zona, del resto, è quella di essere formata prevalentemente da villaggi, escluse la capitale Step'anakert e Şuşa (teatro di una delle battaglie più cruente nel conflitto dei 44 giorni del 2020): "Chi è arrivato oggi in Armenia - dice Kazarian - rischia meno la fame rispetto ai dieci mesi di embargo posto sull'Artsakh, quando la gente era costretta ad arrostire i ceci per fare il caffè. Uno dei problemi più grandi sono le persone che vivevano nei villaggi e che sono sparse sul territorio armeno. In molti preferirebbero vivere in Artsakh senza cibo". Con la sua ONG, cerca di aiutare i rifugiati non solo a sopravvivere, ma anche a integrarsi in una nuova realtà: "Le ONG in realtà sono due, la Transparent Armenia Charitable Foundation che ha sede in Canada e la Transparent Charity, che opera direttamente in Armenia - ci racconta ancora Kazarian - abbiamo iniziato nel 2020, perché conoscevo persone in Canada che volevano aiutare e non si fidavano delle varie organizzazioni esistenti. Si fidavano di me, mi hanno mandato dei soldi e abbiamo comprato cibo o vestiti per chi ne aveva bisogno. Siamo trasparenti di nome e di fatto: abbiamo documentato tutto, alla gente è piaciuta questa idea e in tre anni abbiamo aiutato oltre 50 mila persone. All'epoca, il primo obiettivo erano i sussidi di emergenza, che sono stati il primo step anche in questa nuova escalation, nel corso della quale abbiamo aiutato finora 3,5 mila persone. Adesso, puntiamo a sistemi più sostenibili. Per esempio, aiutare chi nei villaggi viveva di allevamento o agricoltura". Uno dei progetti della ONG, chiamato onomatopeicamente OINK, prevede l'assegnazione a chi ne fa richiesta di un maiale, a patto che possa prendersene cura: nel giro di due anni, il beneficiario dovrà restituire due maiali, che l'organizzazione assegnerà ad altri bisognosi. Lo stesso meccanismo vale, per esempio, con galline e api.

Come andrà a finire? La situazione, mentre scriviamo, è in divenire. Secondo Elliott, dietro alla nuova invasione potrebbe esservi la longa manus della Russia: "È un fatto che è passato inosservato ma, due giorni prima dell'invasione dell'Ucraina, Əliyev (il presidente azero, ndr) ha firmato con Mosca un nuovo accordo di collaborazione. Io credo che l'obiettivo della Russia sia arrivare a riportare l'Armenia nella propria sfera di influenza". Che l'Artsakh sia solo una parte del piano dell'Azerbaigian è una tesi che condivide il Dipartimento di Stato americano: secondo l'autorevole rivista Politico, Antony Blinken, segretario di Stato USA, avrebbe avvisato un piccolo gruppo di deputati americani della possibilità che l’Azerbaigian invada l'Armenia nelle prossime settimane. "Non so perché l'Azerbaigian abbia ricominciato a bombardare a settembre - spiega Kazarian - magari è solo il secondo step del piano: prima affami, poi bombardi, alla fine la gente scappa. E non aver distrutto tutto o invaso fa sembrare che la gente sia andata via di propria volontà e in maniera pacifica. Mi chiedo come si possa considerare vero, dopo dieci mesi di carestia e diversi bombardamenti". La questione è seguita con attenzione e preoccupazione dall'Unione Europea: proprio ieri la commissaria per i diritti umani del Consiglio d'Europa, Dunja Mijatovic, ha iniziato la sua missione in Armenia e Azerbaijan, che la porterà anche nella regione del Nagorno-Karabakh. "A ottobre - torna a parlare Elliott - il Parlamento Europeo ha approvato una mozione per sanzionare l'Azerbaigian, ma sta ai singoli Stati attuarli. L'Armenia sta ricevendo aiuti, per esempio da Francia e Germania. Il vostro Paese? L'Italia, attraverso Leonardo, ha da tempo accordi commerciali per vendere armi a Baku e per ora non sembra intenzionata a comportarsi diversamente". Il grido d'aiuto di un popolo è quello di Kazarian: "Ci sentiamo abbandonati: l'Azerbaigian ha il petrolio, l'Armenia ha poco da offrire se non liquori e magari qualche miniera. La verità è che a livello internazionale gli armeni sono vissuti come un fastidio e l'aiuto internazionale finora si è limitato alle parole. C'erano tutti gli indizi per capire cosa sarebbe successo e non è stato fatto niente, a parte qualche incoraggiamento generico perché non si arrivare a una escalation. La comunità internazionale si è limitata a condannare il blocco sulla regione dell'Artsakh, ma non ci sono state sanzioni o altri tipi di intervento concreto. Il risultato è sotto gli occhi di tutti".

Mkhitaryan, un calciatore politico. In un contesto nel quale della vicenda si parla effettivamente poco a livello internazionale, diverse stelle mondiali hanno provato a lanciare l'allarme. "Aiuta, anche se non so quanto questo possa cambiare le cose - ammette Kazarian - basti pensare a cosa è successo quando Kim Kardashian ha fatto un appello a Joe Biden: niente". Lo stesso Mkhitaryan da settimane condivide quasi quotidianamente contenuti legati al conflitto: non una cosa scontata, per un calciatore, visto l'approccio della UEFA e della FIFA a qualsiasi questione di natura politica. Nel 2019, del resto, ha anche dovuto rinunciare alla finale di Europa League, in programma a Baku, dove avrebbe rischiato l'arresto: "Per me - sostiene Kazarian - anche la vita". "Penso che una persona come lui abbia tutto il diritto di parlarne - chiosa Elliott - e che possa aiutare". Una convinzione in qualche modo condivisa dallo stesso Kazarian: "Chiunque abbia una qualche influenza può aiutare. Se qualcuno aumenta la consapevolezza sul tema, non è certo una brutta cosa, e continuare a parlarne sicuramente aiuta. Mkhitaryan è un giocatore fantastico e una persona fantastica: per me, sarebbe strano se non dicesse nulla. Certo, non so se sarà così che ne verremo fuori".

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