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Juve: la rivincita di Sarri su quelli della "rivoluzione". Inter: Conte, il futuro e le scelte del club. Milan: arriva Rangnick, ma Pioli... Atalanta: i numeri non tornano

di Fabrizio Biasin
Alessio Alaimo
Alessio Alaimo
Nell’era delle partite ogni giorno non si capisce più niente: scrivi che uno è un pirla e ne vince tre di fila, celebri quell’altro e perde il giorno dopo. Solo con l’Atalanta non si sbaglia mai.

Conte, per dire. Oggi è il giorno in cui è fesso, domani chissà. La sconfitta contro il Bologna lascia strascichi pesanti, non tanto per la classifica, quanto per come è arrivata. L’Inter ha perso giocando una mezz’ora scellerata: vinceva 1-0, era in superiorità numerica, si è ritrovata con un rigore ammazza-partita, lo ha sbagliato, ha perso. Un capolavoro di immaturità e approssimazione che fa a pugni con l’idea di calcio dell’ex ct.

Questa cosa spaventa assai, perché interrompe il processo di crescita - lento ma costante – del “gruppo Inter” e ci costringe a rompere le balle a tutti quanti: allenatore, giocatori, tutti. La proprietà? No, quella no, del resto dopo 150 milioni di investimenti nelle due ultime sessioni di mercato (e con Hakimi già acquistato) il problema non può essere “a monte”.

Conte parla di “pacchetto preconfezionato” con cui si è ritrovato a lavorare e, francamente, esagera. L’Inter era ed è una squadra con ancora tanti difetti, soprattutto “ambientali”. Marotta lo ha capito il giorno del suo insediamento e per risolvere il problema si è affidato a uno dei tecnici migliori e più pagati al mondo. Tocca a lui trovare la formula giusta per far sì che i giocatori rendano per quello che valgono, poco o tanto che sia.
Pensare che la soluzione ai problemi dell'Inter sia "comprare altri 5 o 10 giocatori" significa rimandare il problema, che si riproporrà e verrà affrontato comprando "altri 5 o 10 giocatori" e così via all’infinito. No, non funziona così. È giusto affidarsi al mercato e sperare che arrivino nuovi fenomeni, ma è ancora più importante (e urgente) trovare una soluzione al lassismo e alla superficialità che di tanto in tanto – e da anni e anni - si palesa sui prati di Appiano e rende impossibile pensare in grande.

Per capirci: Chiellini e Bonucci prima dell’arrivo di Conte parevano due mezzi giocatori (stagione 2010-2011, la Juve chiude al 7° posto, 14esima difesa per gol subìti), poi sono diventati Chiellini e Bonucci. Godin e Skriniar prima di lavorare con Conte erano certezze, ora non lo sono più. Qualcosa non torna.

Conclusione e voltiamo pagina: Conte è l’allenatore giusto per riportare l’Inter “in vetta”? Sì, lo è, nessuno più di lui ha nel dna gli strumenti per mettere le cose a posto. Conte deve reclamare investimenti, rivoluzioni, nuovi giocatori? No, non ce n’è bisogno, la società lo accontenterà in tutto ma in cambio chiede che Conte… faccia Conte.

Il Milan ha deciso di cambiare: lo sapevamo già, ieri ce lo hanno più o meno detto ufficialmente. Arriverà il tedesco Rangnick e ricoprirà il doppio ruolo di dt e allenatore. Così è deciso, l’udienza è tolta. E allora noialtri gradiremmo parlarvi del signor Stefano Pioli, tecnico con troppi problemi. Il primo è il cognome. Il cognome “Pioli” lo squalifica in partenza perché è molto poco esotico. Pensate a “Rangnick”: altro suono, altro piglio. Il secondo è il suo aspetto. Ha il fare del brav’uomo e lo sguardo da Padre Pio. Anzi, somiglia proprio al Santo. Non ci siamo. Con quella faccia lì sei condannato a fare la fine dei “buoni” e i buoni, nel calcio, raramente vengono presi sul serio.
Nel calcio funzionano gli arroganti, quelli che magari non portano risultati ma - non si sa perché - hanno tutti dalla loro parte.

Pioli no, tendenzialmente viene maltrattato e se proprio gli va bene lo chiamano “normalizzatore”. In questo specifico momento, per dire, il normalizzatore ha rimesso in vita un Milan che prima del suo arrivo pareva un vascello alla deriva e ora sembra una elegante nave da crociera. “Merito di Ibra”, diranno i più. Merito soprattutto di Pioli, diciamo noi, uno che lo cacci e poi magari te ne penti. In fondo è già successo con Gattuso: il Milan aveva bisogno di continuità, ha preferito ricominciare. Diciamolo: la logica non fa parte del mondo del calcio.

Quanto alla Juve, il discorso è sempre lo stesso: vola verso il milionesimo scudetto e ci riesce non “malgrado” ma “grazie” a Sarri. Molti non saranno d’accordo ma il tecnico dei bianconeri ha fatto un gran lavoro, anche solo per aver portato avanti la personalissima rivoluzione mentale iniziata a Londra: meno fronzoli, più praticità, tanta capacità di “capire” il materiale con cui si è ritrovato a lavorare.

Con questa Juve il sarrismo non ha senso, meglio badare al sodo. Che poi era la filosofia – vincente – di chi lo ha preceduto, ovvero Allegri. I dirigenti della Juve hanno provato a fare la “rivoluzione di campo”, per loro fortuna non è riuscita. E infatti vincono ancora loro.

Due balle sull’Atalanta e sulle fissazioni dei malati di tattica, quelli che “bisogna giocare a 3! No, a 4. No, col rombo! Ecc ecc!”. Provate a rispondere: con quale schema gioca l’Atalanta? Lo 0-3-7? Il 2-2-6? Lo 0-0-10? Chi scrive ancora non l’ha capito e al massimo pensa che la Dea sia la massima espressione del concetto “quando i giocatori sanno come muoversi assieme, l’impostazione tattica si trasforma in una pippa mentale per teorici del pallone”.
A settimana prossima.
Cambieremo ogni giudizio.
Promesso.
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