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TMW RADIO - A. Moggi: "Se si ferma la Serie A va giù lo sport italiano. Mercato? Scambi il futuro"

di Dimitri Conti
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Il noto procuratore ed intermediario sportivo Alessandro Moggi è intervenuto in diretta nel corso di Stadio Aperto, trasmissione che va in onda su TMW Radio: "La vita è cambiata totalmente, come per tutti quanti noi. Io trascorro questo periodo in isolamento a casa, ora sono a Napoli dove fortunatamente i dati sono meno preoccupanti rispetto al nord Italia, ma ho le stesse problematiche di ognuno. Speriamo di tornare presto alla normalità, ma la vedo ancora lunga".

Il calcio però discute della ripresa.
"Premessa la necessaria tenuta del sistema sanitario nazionale, come prima condizione la salute di tutti, il mondo del calcio deve tenere presente la possibilità di poter riprendere perché da noi, come in altri paesi nel mondo, è un'industria troppo importante. I calciatori vanno in campo per divertirsi, ma come dice Lotito sono lavoratori che muovono 7 miliardi di euro ogni anno, un sistema che dà 1,3 miliardi al fisco italiano ogni anno. Non possiamo permetterci la fine del campionato. In tutta Europa la posizione è la stessa: attesa, sperando che i dati possano migliorare, con la determinazione di voler finire i campionati. L'Italia non può perdere così 800 milioni di euro, porterebbe al collasso tutto il sistema. E non dimentichiamoci che il calcio porta soldi agli altri sport in Italia: se finisce la Serie A finisce lo sport italiano. Per non parlare delle leghe minori, B e Lega Pro, che vivono completamente dai derivati distribuiti dalla Serie A. Il protocollo allo studio dei medici sportivi, con un ritiro fino a fine campionato con attività di tamponi continui necessaria a mantenere l'ambiente ovattato, può servire ad aiutare la ripresa. Lo sport, in generale il calcio, ha una rilevanza anche sociale. Se finisce il calcio, anche la gente perde il suo attimo di relax".

C'è una data limite?
"Inizialmente ho sempre pensato che fosse necessario finire entro il 30 giugno, e ora sembra difficile. Ripartendo con allenamenti a fine aprile, e partire a inizio maggio: le condizioni sarebbero inusuali per tutti, così come i danni. Una mini-preparazione, e cercare di finire con l'ultima giornata al primo e secondo luglio. Sembrerebbe la soluzione migliore, anche se è tutto sub-judice alla diffusione del virus. Leggo comunque che le istituzioni hanno volontà di mantenere una massima elasticità. Ho avuto modo di sentire società di altri campionati: dalla Liga mi raccontano che si parla di cominciare a fine giugno, finire ad agosto e ripartire con la nuova stagione a metà settembre. Pure questo mi sembra complicato, ma la volontà del movimento è di portare a termine le manifestazioni, com'è giusto che sia. Parliamo di calcio, se poi pensiamo alla Formula 1 stanno pure peggio, e nessuno si sogna di dire lasciamo perdere. Non è possibile".

Esiste il rischio di andare ad incidere sulla stagione 2020/2021?
"L'unico modo per non contaminare la prossima stagione è finire questa. Oppure ammettere nelle serie maggiori le squadre che sulla carta occupano le posizioni buone. E mi riferisco alle dichiarazioni dei presidenti di Frosinone e Benevento, oppure di Galliani per il Monza. Non si può tener conto degli enormi vantaggi che hanno sulle inseguitrici, e Benevento e Monza penso che avranno un risultato sportivo garantito. Se non si dovessero finire i campionati ci saranno ricorsi infiniti da quelli che si sentono penalizzati, e così non si finisce mai, contaminando la prossima stagione".

Sulla questione del taglio agli stipendi che ne pensa? L'esempio Juve calza a tutta la Serie A?
"La Juventus ha fatto una trattativa privata con il gruppo dei calciatori. Succede, a prescindere dall'accordo tra i vari club. Credo che la posizione più corretta sia tenere le porte aperte anche per una riduzione dei salari, ma capire anche l'impatto effettivo negativo che avrà il Coronavirus. Non ha senso dire togliamo quattro stipendi se non finisce la stagione e due se ricomincia. Quando si capisce l'impatto, poi è giusto che tutti riducano le pretese. Ma dire che i calciatori devono rinunciare ai soldi quando non sappiamo di che morte morire, mi sembra prematuro".

Ci sarà ancora un professionismo a cento squadre?
"La prima cosa da garantire è la sostenibilità di sistema, e delle singole squadre. Bisogna valutare anche il sociale: si va ad incidere sui tessuti delle singole cittadine. Credo però che il sistema calcio italiano non possa sopportare tutte queste squadre professionistiche. Si potrebbe ripensare alla struttura dei campionati, magari qualche squadra in meno ad ogni livelli. Negli anni scorsi la selezione naturale si è passati dai cinque gironi di C1 e C2 agli attuali tre di Lega Pro. Andrà fatta un'attenta valutazione, questa non è una situazione normale. Secondo me tante realtà di Lega Pro e B non sopporteranno questi mancati ricavi, si potrà capire se e come rivisitare il sistema".

Quanto sarà lungo il prossimo mercato?
"Ritengo inutili delle lunghe durate, come ormai siamo abituati negli ultimi anni. Sarò romantico ma vorrei un calciomercato più corto, magari non i quindici giorni di trent'anni fa, ma di un mese. A maggior ragione ora. Sapete che nel calciomercato molto si fa all'inizio, con i grandi colpi, e molto alla fine, per andare a completare le rose. Non credo che esistano altri sport con mercati degli atleti lunghi tre mesi. Ho letto pure, non ricordo se Infantino o chi, qualcuno ha ipotizzato un mercato lunghissimo e sempre aperto, per me non esiste. Sicuramente ci sarà un impatto negativo notevole. Leggevo uno studio per cui c'è una riduzione patrimoniale già del 30% sui cartellini rispetto all'ultima stagione. Questo può determinare che tanti vorranno tenersi i giocatori, oppure andare a scambiare con qualcuno di pari valore, facendo pari e patta. Anche per questioni di bilanci, per evitare certe perdite. Probabilmente ci saranno scambi di giocatori simili per ruoli, anche tra big: questo ho percepito. Operazioni da 100 o 200 milioni onestamente le vedo difficili, anche perché siamo entrati un po' in una bolla. Superare i 100 milioni con estrema facilità forse è troppo rispetto alla sostenibilità dell'intero movimento, e anche quello va rivisitato".

Come funzionerà il Fair Play?
"Ricordo che nei primi anni Duemila ci fu una bolla speculativa importante, con casi anche sulle plusvalenze. Secondo alcuni i valori erano gonfiati anche se in realtà non lo erano. Ricordo che cominciarono a costare svariati milioni, poi calò tutto. Oggi ci troviamo in una situazione analoga, e magari torneremo su valutazioni un pochino più corrette. Mi è capitato, facendo l'esempio di Immobile, di vendere al Borussia Dortmund il capocannoniere della Serie A di allora a 19 milioni, e in quel momento sembrava una cifra galattica. Sapete che oggi con quella cifra ci si compra un giocatore normale, sicuramente non il principale realizzatore della Serie A. Da Neymar in poi i valori sono aumentati del 3-400%".
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