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Quagliarella: "Giampaolo insegna calcio. Sono orgoglioso di fare parte di questa società"

di Maurizio Marchisio
per Sampdorianews.net

Il centravanti blucerchiato, intervistato dalle telecamere di Sky Sport, nella splendida cornice di Bogliasco, ha parlato a ruota libera delle sue esperienze, da Ascoli a Genova, passando per Napoli, Torino ed Udinese. Quagliarella, nel corso del programma I signori del calcio, ha ripercorso anche le tappe più dolorose della sua carriera, come la morte dell'amico Nicolò Galli e la brutta vicenda di stalking che lo ha coinvolto.

“Il numero 27 nasce da una storia di amicizia, un’amicizia nelle nazionali giovanili con Nicolò Galli, poi, come tutti sappiamo è venuto a mancare in un incidente stradale, e quando ho potuto in tutte le squadre in cui ho militato ho sempre portato il suo numero, perché lui quando giocava con il Bologna in Serie A aveva il numero 27, quindi io in suo ricordo porto con grande piacere questo numero. Era un ragazzo umile e forte, avrebbe fatto sicuramente una carriera eccezionale, però, purtroppo non ha avuto questa fortuna.

Il mio lato sensibile l’ho sempre avuto, sono sempre stato una persona sensibile, però nel mio lavoro lo devi nascondere, perché bisogna sempre essere quadrati e pensare al sodo. Si hanno pochi momenti per trasmettere questa sensibilità. Quando poi c’è l’occasione viene fuori, non è studiata, viene naturale perché fa parte del proprio carattere.

Credo di aver fatto un’ottima carriera, forse potevo fare di più, sicuramente, me lo hanno detto in tanti. Però alcuni fattori me lo hanno impedito, poi con i se ed i ma non so dove sarei potuto arrivare. A Torino, avevo tredici anni, mi sono trovato in questa società che non conoscevo e che mi ha dato l’opportunità di migliorarmi e diventare prima uomo e poi calciatore. La seconda volta mi ha dato l’occasione, mi hanno richiamato in Serie B, abbiamo vinto il campionato e poi il Toro è fallito. Poi, la terza volta, è stata la gioia di poter ritornare al Toro e di poter dare il mio contributo disputando l’Europa League, ricordo che abbiamo vinto al San Mames dove nessuna squadra italiana aveva mai vinto. E poi, vincere il derby dopo vent’anni, da protagonista.

Ascoli è stata la mia prima vera esperienza da protagonista in Serie A, con Giampaolo che mi ha dato fiducia e mi ha fatto fare tante partite, ricordo la prima da titolare in Ascoli Milan, da quel momento ho fatto esperienza, non ho fatto molti goal, ma mi è servito molto quell’anno da protagonista.

Poi mi trovo ad Udine inaspettatamente, perché ero in comproprietà con la Samp, io ero convinto di restare alla Samp perché avevo fatto una stagione stupenda. Invece mi ritrovo a Udine dove, in un primo momento non conoscevo l’ambiente ma poi mi sono tolto delle bellissime soddisfazioni, ho giocato con giocatori fortissimi, che tuttora giocano nelle big. Qui ho trovato una società serissima, i Pozzo sono persone eccezionali perché hanno fatto molto per me, non li dimentico, tifosi eccezionali che tuttora non mancano di dimostrarmi l’affetto. Sono stati due anni meravigliosi. Nessuno se lo aspetta che un napoletano si possa adattare ad Udine, però mi sono trovato bene perché c’erano Di Natale e Floro Flores, quindi non mi sentivo solo, anche fuori dal campo andavo a mangiare nei ristoranti napoletani che sono ancora amici come l’Ancona Due, dove ci trovavamo tutti, dunque alla fine un po’ di Napoli ce l’avevo anche ad Udine. Era tutto molto più semplice. Per quanto riguarda Totò, una volta ha giocato con me al San Paolo, in un Napoli Udinese, ma quella è stata una scelta sua, ultimamente l’ha anche detto, io lo prendevo come un modo per restare vicino alla famiglia invece lui non ne voleva proprio sapere. Era una cosa comunque divertente.

Prima dell’ultima partita di campionato, mi sembra un Udinese Cagliari, se non erro, in settimana mi aveva chiamato la società e il procuratore dicendo che c’era la possibilità che il Napoli mi volesse acquistare, mi dice: non hai molto tempo per decidere, devi dirmelo domani, io gli ho detto che potevo dirglielo anche subito. Era bella questa cosa, tornare a casa, il poster li avevo di Maradona e Careca, tutta la squadra del Napoli e della Juve Stabia perché essendo di Castellamare di Stabia io avevo il cuore gialloblu e azzurro quindi quando mio padre mi portava a vedere la Juve Stabia, poi a volte si andava al San Paolo, per me la domenica era sempre un evento emozionante. Parlai col presidente e gli chiesi se potevo avere qualche giorno in più di vacanza ed andai in Polinesia, quando rientrai a casa c’erano canzoni, pizze col mio nome, caffè col nome mio, ed io ancora dovevo indossarla la maglia. Sapevo di avere una grande responsabilità, rappresentavo, per i tifosi, uno di loro in campo, con me in squadra c’erano comunque Paolo Cannavaro, Gennaro Iezzo, c’era Vitale, c’erano altri napoletani quindi potevo anche condividerlo con loro, ci dividevamo la pressione dei tifosi ma era bellissimo. Feci l’esordio a Palermo e perdemmo due a uno. Poi ci fu la mia prima al San Paolo, Napoli Livorno, ti posso raccontare l’emozione nel tragitto di arrivare allo stadio, ero teso, sudavo senza muovermi, sapevo che c’era una marea di gente, dentro di me dicevo stai tranquillo, gioca come sai, non inventarti niente, per non rischiare di strafare.

La vicenda che ho già raccontato di questa persona che era un poliziotto della Polizia Postale, ci tengo a fare una parentesi, non vorrei generalizzare, la Polizia di Castellamare e soprattutto i giudici mi hanno dato questa grossa mano per chiudere il caso. Non amo tornare su questo caso perché è come riaprire una ferita. I tifosi napoletani mi hanno comunque sempre dimostrato affetto, loro mi amavano ed io li amavo, ci hanno diviso ma nessuno dei due voleva questo. Questo è quello che fa male, però poi mi sono detto che quello era il mio lavoro e dovevo continuare a fare il professionista e cercare di fare la mia carriera. La vicenda è finita il 17 febbraio, me lo ricordo benissimo, mio padre mi chiamò e mi disse: domani c’è la sentenza ed io di notte non ho dormito, poteva succedere di tutto, finchè non c’è un giudice che ti da ragione non puoi essere tranquillo anche se hai la coscienza a posto. Il giorno dopo mio padre va alle 9 in tribunale ma la sentenza è arrivata nel pomeriggio, un’attesa snervante, io al mattino mi allenavo. Finito l’allenamento ho guardato il cellulare se c’erano messaggi o chiamate, mi era cresciuta un po’ di ansia, poi nel pomeriggio mi chiama e mi dice: tutto a posto, condannato a quattro anni e otto mesi.  Non sapevo se ridere o piangere. Ora tocca a me, ora finalmente, passati sette anni, posso parlare, posso dire quello che ho vissuto, il perché di tante cose. Sono stato tempestato di migliaia e migliaia di messaggi di affetto di amici, di tifosi del Napoli che chiedevano scusa. Loro non sapevano. Non sapevano e ho fatto finta di niente quando mi dicevano le cose, però sapevo che poi sarebbe arrivato quel giorno, lo speravo. E’ stata una gioia immensa, ricongiungermi con la mia gente è stato il goal più bello che potevo fare.

Alla Juventus entri in una società dove c’è tutto, ognuno fa il suo lavoro e ti mettono nelle condizioni di fare i risultati. Entri nella famosa mentalità vincente. Fanno in modo che tu non abbia altri tipi di problemi extra calcistici. Tu vieni qui e devi vincere, bisogna vincere, entri in uno spogliatoio di campioni, di fuoriclasse, quindi io che ero li, guardavo gente come Del Piero o Buffon, Pirlo, li guardavo a bocca aperta anche se già ci avevo giocato in nazionale, però vivendolo nel quotidiano capisci tante altre sfaccettature. Gente che ha vinto, ha stravinto, tanto di cappello, fuoriclasse amati in tutto il mondo.

Ho avuto occasione di parlare con Mourinho in una partita a Udine contro l’Inter, io a fine partita dovevo scambiare la maglia nel tunnel con un giocatore dell’Inter e lui era li sulla porta e mi dice di entrare e che avrei potuto ritornare con loro e giocare con loro. Io gli ho detto: magari, essere allenato da lei sarebbe bello. E lui mi dice di parlare seriamente, io gli dico di parlare con la società e li finisce quel siparietto. Poi ricordo quando giocavo al Torino e Mourinho rilasciò un’intervista in cui gli chiesero quale giocatore italiano gli piacesse, e lui, fece nuovamente il mio nome. Disse che giocatori che si muovono in un certo modo, dettando i movimenti in quel modo, in Italia ce ne sono ben pochi, voi quel ragazzo lo avete sottovalutato. Quei complimenti mi hanno riempito di orgoglio, un allenatore come lui che ha vinto tutto e fa un complimento del genere, pur non essendo stato un suo giocatore, disinteressato, sono quelle cose che poi ti porti dietro. Quando Tevez arrivò alla Juve e rilasciò un’intervista in cui  disse che il giocatore che più l’aveva colpito ero io, per come toccavo la palla, sono quelle cose che inorgogliscono.

Con l’arrivo di Giampaolo le cose non è che sono cambiate, nel senso che quando mi allenava Montella mi allenava il mio idolo, quindi ero felicissimo. Sono cambiate a livello di squadra, sono cambiati tanti giocatori, c’è stato un reset, siamo ripartiti con un nuovo allenatore che insegna calcio. Tanti giocatori giovani, c’è voluto del tempo, però ora i risultati si vedono. Sono orgoglioso di far parte di questa società, ed ora che faccio anche il capitano in qualche partita è una cosa bellissima. Io non avevo mai fatto il capitano in vita mia, era un mio sogno, un sogno era di farlo con la maglia del Napoli però quel sogno mi è stato spezzato e facendo il capitano con la maglia della Sampdoria sono molto molto contento, quando la indosso è una bella emozione ma allo steso tempo una grande responsabilità. Se penso a chi ha indossato la fascia in questa squadra, so che devo dare tanto.

Ho segnato più di 100 goal in Serie A, un bel traguardo, forse non lo immaginavo neppure io, però allo stesso tempo dico: forse potevo fare qualche goal in più. Poi ci ripenso e dico: però i goal che ho fatto se li ricordano in molti, tipo il goal in rovesciata contro il Chievo, un po’ di sana incoscienza, io dico così, tuttora non sono consapevole di quando faccio determinati gesti, per me è istinto. So di essere coordinato, so di avere determinati colpi quindi provo con naturalezza. Meglio aver fatto qualche goal in meno che però la gente si ricorda, la gente ha goduto nel vedere un mio goal realizzato in una maniera non comune.

Mondiale 2010, si poteva fare ovviamente molto di più, però era un mondiale particolare dove io ho giocato l’ultima partita, era il mio esordio ad un mondiale, in questo esordi faccio un goal bellissimo, poi mi è stato riferito essere uno dei dieci goal più belli del mondiale. Nello stesso tempo c’è stato un goal annullato, un goal in cui non si sa se la palla era entrata o meno, un altro tiro poi respinto in cui ha fatto goal Di Natale. Mi è dispiaciuto molto, da quella partita in poi credevo di essere titolare, era il mio mondiale, poi è andato così e il rammarico c’è. Di quel mondiale mi porto dentro l’esordio e quel goal stupendo. In nazionale avrei potuta dare qualcosa in più. Senza nulla togliere a chi va in nazionale ora, quando io andavo in nazionale c’erano grandissimi nomi. Avevano appena vinto il mondiale, quindi, ho avuto l’onore di potermi allenare e giocare con quei campioni. Anche se non mi convocano più perché è giusto dare largo ai giovani, mi dico che quella nazionale era di grande qualità.

Nel calcio non si sa mai cosa può succedere, il Napoli ha determinate ambizioni ed io sono grande, diciamo così, però io sono molto contento che con la mia gente sia tornato il sereno. Di quello striscione, che è stato esposto in Napoli Atalanta, ho fatto fare un poster e ce l’ho a casa, c’era scritto: nell’incubo che hai vissuto, enorme dignità, ci riabbracceremo presto, Fabio figlio di questa città. Non era dovuto nei miei confronti però è una cosa che mi ha riempito il cuore all’ennesima potenza.”


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