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Roberto Mancini, dalla più grande gioia alla più cocente delusione per l'Italia del calcio

di Alessio Del Lungo
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La più grande gioia e il più grande dolore recenti per l'Italia del calcio sono entrambi riconducibili ad un unico nome, quello di Roberto Mancini. Il commissario tecnico dell'Arabia Saudita è stato il personaggio più discusso degli ultimi 3 mesi di vita di questo sport per tanti motivi, ma soprattutto per come ha deciso di lasciare la nostra Nazionale, per come ha gestito la separazione e per quello che ha accettato. Si potrà dibattere se veramente lo avrà fatto per soldi o per altro, ma quel che è certo è che di materiale per "chiacchierare" ce n'è fin troppo. Dall'Europeo vinto con un Paese intero finalmente tornato per le strade festoso dopo l'incubo del Covid alla mancata qualificazione al Mondiale in Qatar: dalle stelle alle stalle in pochissimo tempo.

Mancini però è abituato agli ambienti turbolenti, basti pensare all'incarico che ha ricoperto alla Fiorentina, quando conquistò una Coppa Italia nel 2000/2001. Da idolo e tecnico osannato da tutti a personaggio minacciato per lo scarso impegno solo la stagione successiva, quando fu costretto a dimettersi prima della retrocessione e del fallimento dei viola. Nel 2002 il passaggio alla Lazio, squadra che per sempre rimarrà nel suo cuore come capiremo tra qualche riga. In biancoceleste solleva una Coppa Italia, ma soprattutto si fa conoscere anche nel nuovo ruolo al mondo intero, e Moratti decide di chiamarlo all'Inter.

La Juventus in quegli anni dominava e non aveva rivali, sembrava essere incontrastabile. Mancini a dire il vero non iniziò in modo memorabile con i nerazzurri: vinse la Coppa Italia, ma in Serie A, complici 18 pareggi, concluse terzo alle spalle dei bianconeri e del Milan. L'anno successivo fu praticamente una replica del precedente, con l'aggiunta della Supercoppa Italiana alla Coppa Italia. Calciopoli però cambio tutti gli scenari e così lo Scudetto fu assegnato a tavolino all'Inter e l'egemonia del Biscione ebbe inizio. Due volte campione d'Italia, un'altra Supercoppa Italiana e soprattutto la sensazione che in patria non ci sono rivali: le 17 vittorie consecutive nel 2006-2007 lo testimoniano solo in parte. In Europa però non decolla e così, dopo dichiarazioni in cui metteva in dubbio il suo futuro in nerazzurro, Moratti lo esonerò.

Nel 2009 passò invece in Inghilterra al Manchester City, subentrando in corsa e adattandosi piano piano ad un campionato nuovo e diverso per lui. Nella stagione successiva centrò la vittoria in Coppa d'Inghilterra, preludio a quella più attesa, arrivata invece nel 2011/2012: conquistò infatti la Premier League dopo una clamorosa rimonta contro il QPR all'ultima giornata nel recupero del secondo tempo. Il 2012-2013 iniziò con la Supercoppa d'Inghilterra, ma qualcosa poi non funzionò come doveva, perse la finale di FA Cup contro il Wigan e addirittura fu esonerato a due match dalla fine del campionato.

Prima del ritorno all'Inter, un anno in Turchia al Galatasaray. Giusto il tempo di sollevare una Coppa di Turchia, raggiungere gli ottavi di finale di Champions e finire secondo in campionato che esercitò la clausola liberatoria e nel novembre 2014 si ricongiunse ai nerazzurri. La minestra riscaldata però non sempre viene bene, non sempre è buona come quella appena fatta ed è così che si può inquadrare questa sua seconda parentesi a Milano. L'illusione del primo posto in classifica durò solo un girone d'andata e nel 2015-2016 chiuse quarto. Risolse il contratto e si unì nel 2017 allo Zenit San Pietroburgo, ma in Russia non riuscì ad esprimere tutto il suo potenziale, chiudendo solo quinto e rescindendo il contratto nel 2018 a maggio.

Il resto è storia recente, con il trionfo di Wembley, il record di imbattibilità nella storia delle nazionali, ma anche l'esclusione dal Mondiale per opera della Macedonia del Nord e le dimissioni di metà agosto. Da giocatore è forse ancora più iconica la sua carriera, dato che si è sviluppata soprattutto tra Sampdoria e Lazio, non esattamente due big del calcio moderno, ma sicuramente due squadre che in quell'epoca hanno dato tanto al pallone. Cresce nel Bologna, debutta in prima squadra con i rossoblù e dopo una sola stagione, nell'82 Mantovani lo portò a Genova, pagando 4 miliardi di lire. In 15 anni riscrisse la storia del club, vincendo uno Scudetto, una Coppa delle Coppe, una Supercoppa Italiana e 4 volte la Coppa Italia. Guidato da Boskov ed Eriksson formò una coppia con Gianluca Vialli che segnerà quel periodo lì, tant'è che vennero ribattezzati da tutti "I gemelli del gol". Il loro rapporto si rafforzerà e nel tempo questo porterà i due a riunirsi anche quando Mancini siederà sulla panchina dell'Italia come ct, fin quando poi Vialli morirà in seguito alla leucemia. Insieme giocarono 3 finali europee in 4 anni, l'unico ko fu quello in Champions League contro il Barcellona, che poteva davvero cambiare ulteriormente il volto alla sua carriera.

Nel '97 seguì Eriksson alla Lazio e in 3 anni vinse una Supercoppa UEFA, una Coppa delle Coppe, una Supercoppa Italiana, due volte la Coppa Italia e soprattutto uno Scudetto. Rimarranno per sempre impressi il suo pallonetto da fuori area nel derby vinto 4-1 contro la Roma o i due tacchi, uno nel derby finito 3-3, sempre nel '98, l'altro a Buffon nel 3-1 a Parma del '99. Annunciò il ritiro dal calcio giocato nel 2000, diventando vice-allenatore della Lazio, ma nel gennaio 2001 firmò per 6 mesi con il Leicester, tornando sui suoi passi: 6 match e ancora un dietrofront solo un mese più tardi. Questa volta gli scarpini li appese definitivamente al chiodo. In Nazionale vanta 36 gare, 4 gol e 4 assist, troppo pochi per un talento del genere, ma all'epoca i talenti erano quasi troppi. Oggi Roberto Mancini compie 59 anni.

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