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Carlos Valderrama, icona pop del calcio mondiale e colombiano

di Redazione TMW
Fonte: di Fabrizio Gasco per storiedicalcio.altervista.it
Un mago dell’intelligenza che conosce la posizione dei suoi compagni quasi senza guardarli» Luis Cesar Menotti
Foto
© foto di Alessio Alaimo

Santa Marta si adagia placida sulle coste colombiane del Mar dei Caraibi. Il 2 settembre 1961, tra le sue strade che profumano di bananas y café, viene alla luce Carlos Alberto Valderrama Palacio. Diventerà solamente un mito.

Carlos Valderrama, detto El Pibe, non è solo il numero 10 per antonomasia del calcio colombiano. È una leggenda, un’icona pop mondiale. È l’incarnazione di uno stile di vita, di un modo di intendere il futbol. Tutti conoscono Carlos Valderrama. In ogni angolo del mondo, su pareti, cartelli, nei cortili nascono murales con il suo volto, con la sua effigie. La sua riccioluta chioma dorata è la raffigurazione di un’etichetta ammirata e imitata ovunque. Il suo look baffuto e la sua espressione calcistica hanno avuto un impatto emotivo straordinario tra i tifosi colombiani, ma non solo, che lo hanno innalzato a personaggio mistico al limite della idolatria feticistica.

E’ stato un protagonista borderline degli anni Ottanta e Novanta: ha predicato calcio nel suo paese, la Colombia, e in Sudamerica. In Europa, di lui, si ricordano solo un paio di fugaci e precarie apparizioni, tra il 1988 e il 1992, in squadre semioscure e lontane dai grandi palcoscenici: il Montpellier e il Valladolid.

Carlos Valderrama non ha tante coppe da lustrare o trionfi da celebrare. Di lui non si ricordano gol da cineteca o prodezze straordinarie. La sua leggenda vive nei suoi tocchi felpati, nelle sue carezze al pallone, nei suoi dribbling e nella maestria tecnica. El Pibe trasforma i difetti in pregi, i punti deboli in qualità. Costruisce il suo mito attorno alle sue imperfezioni: sublima la sua indolenza, innalza ad arte la lentezza. È un artigiano del pallone che lavora con la calma e l’accuratezza di un orafo e filtra assist geniali come in una distilleria di lusso.

Valderrama esordisce nel 1981 con la maglia dell’Unión Magdalena, la squadra simbolo di Santa Marta. Dopo una malinconica parentesi tra il traffico e il caos metropolitano di Bogotà con il Millonarios , la sua carriera prende il volo, nel 1985, tra le fila del Deportivo Cali dove fa coppia fissa con il bomber Bernardo Redin. Nello stesso anno esordisce in Nazionale con la maglia dei “cafeteros” in un incontro di qualificazione a Messico ’86 con il Paraguay: diventerà ben presto uno dei trascinatori.

A fine anni Ottanta lo stile afro-leonino di Valderrama furoreggia in tutta la Colombia. Nel 1987 conquista il Pallone d’oro del Sudamerica. Nel 1988 sbarca nel Vecchio Continente, nella Ligue 1: lo sceglie il Montpellier. Vincerà una Coppa di Francia, ma il calcio europeo è troppo fisico e troppo veloce per la sua andatura. Non andrà meglio in Spagna, al Valladolid.

El Pibe è il guru di una generazione fenomenale che ridà lustro al calcio colombiano, assente dal 1962 in Cile alle competizioni mondiali. L’altra metà del cielo stellato di Colombia, il lato oscuro della luna è Renè Higuita. Se Valderrama è il Gullit biondo, il folle portiere con i riccioli neri è la star maledetta. Con loro, ecco talenti del calibro di Freddy Rincon, Arnoldo Iguaran, Carlos Estrada e Luis Perea.

A Italia ’90, i giallo-rosso-blu, sotto la guida di Francisco Maturana, raggiungono gli ottavi di finale. Valderrama firma il suo primo e unico sigillo mondiale nel 2-0 che la Colombia rifila agli Emirati Arabi Uniti, in un assolato pomeriggio bolognese. I cafeteros perdono 1-0 con la Jugoslavia e pareggiano 1-1 con la Germania, futura campione del mondo. A Napoli, negli ottavi di finale, Higuita, con uno delle sue pazzie, in un maldestro tentativo di dribbling, si fa soffiare il pallone da Roger Milla che segna il gol della doppietta con la quale il Camerun elimina i sudamericani.

L’estro e la classe cristallina di Valderrama continuano a brillare nell’Independiente Medellin e nel Junior Barranquilla. Proprio con i Roji-blancos colleziona 82 presenze e 5 reti e vince due titoli nazionali colombiani. Il 5 settembre 1993, al Monumental di Buenos Aires, Valderrama ispira uno delle più straordinarie interpretazioni calcistiche della nazionale colombiana. Durante le qualificazioni a Usa ’94, i cafeteros umiliano l’Argentina con un memorabile “partidazo” che vale uno storico 0-5. L’avventura americana però si rivela un flop clamoroso: Valderrama, reduce da un grave infortunio, non riesce a spingere la Colombia al secondo turno.

L’ultima esibizione ai Mondiali a Francia ’98. Il Pibe ha 37 anni. Il suo peso è sempre più ingombrante e la lentezza esasperante. La Colombia delle meraviglie è solo uno sbiadito e nostalgico ricordo e viene eliminata al primo turno senza mai dare l’impressione di poter andare avanti. I sudamericani colgono l’unica vittoria contro la Tunisia, per 1-0. Segna Leider Preciado. L’assist è, manco a dirlo, del Pibe che si congeda con un ultimo sontuoso riff da “slow-foot”.

Valderrama chiude una carriera lunghissima nella Major League Soccer americana dove mostra la sua arte ai neofiti yankees. Si crogiola sotto il sole della Florida e si assicura una pensione felice a suon di dollari: Tampa e Miami le sue squadre. Trova il tempo per essere eletto miglior giocatore della lega nella stagione 1996. Ormai è un numero 10 vintage e fuori moda. Un vinile in un calcio moderno e schizofrenico, in formato mp3. Il suono pulito e retrò del Pibe invece è sempre quello “di una volta”. Chiude la carriera sulla soglia dei 42 anni.

Adesso porta a spasso la sua epica zazzera e la sua aura leggendaria. È il manager della sua fama. Come direttore sportivo del Junior, nel 2007, in una partita di campionato contro l’America Cali, in segno di protesta contro l’operato dell’arbitro Oscar Ruiz, mostra al direttore di gara una banconota da 50 mila pesos. E sugli spalti si scatena l’inferno nel quale rimangono feriti 10 tifosi. Perché i sermoni di Valderrama, in Colombia, sono religione di stato.

È stato re di un El Dorado tutto suo, di un mondo a parte. Eppure in ogni angolo del pianeta resta un’icona. Perché chi porta le treccine bionde e cespugliose, che sia calciatore, idraulico o rockstar, porta i capelli “alla Valderrama”.

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