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Ariel Ortega, il mancato Maradona. Flop al Parma, minusvalenza da 23 miliardi

di Andrea Losapio
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Intorno alla fine dello scorso millennio se indossavi una maglia con il numero dieci, non arrivavi al metro e settanta e con il baricentro basso potevi saltare l'uomo quando ti pareva, ecco la subitanea etichetta: sei il nuovo Maradona. Così quando nel 1991 un imberbe Ariel Ortega, diciassettenne di belle speranze cresciuto nella cantera del River Plate, sale agli onori delle cronache, ecco che il parallelismo diventa subito calzante. Anche perché nel 1993 incomincia a giocare con la maglia dell'Argentina e, in tempi differenti e un calcio diverso, anche il Pibe de Oro doveva dividere la camera con qualcuno. E lo fece qualche volta proprio con Ortega: certo, la differenza con lui, tifoso del Boca Juniors, era palpabile.

In un'intervista, qualche anno fa, Ariel Ortega ha dichiarato: ”Molte volte durante gli allenamenti ho voluto stare fuori dalle squadre per sedermi su un lato a guardarlo. Lo stimo come uomo oltre che come giocatore. Quando sei giovane capita di sbagliare comportamenti e atteggiamenti. A volte hai bisogno di un abbraccio e di un consiglio. Maradona mi ha dato entrambi e io gli sono estremamente grato. Mi ha sempre chiamato e cercato nei momenti belli, ma è stato molto più presente in quelli difficili. Mi ha lasciato in eredità un carico di affetto e di umanità enorme. Gli sarò grato per sempre”.

Oggi Ariel Ortega compie quarantanove anni e nella sua lunga carriera ha giocato anche in Italia. La Sampdoria lo acquisto dal Valencia, di fatto per essere una sorta di sostituto di Juan Sebastian Veron, ritornato al Parma l'estate precedente. In blucerchiato fa abbastanza bene, ma non tanto da evitare la retrocessione. Certo è che otto gol, da fantasista, di una squadra retrocessa, sono un buon biglietto da visita. D'altro canto o segnava lui, oppure Palmieri altrimenti Montella, non c'erano grandi speranze. Così il Parma decide di affidare a Ortega il post Veron, l'anno successivo, pagandolo 28 miliardi. Ecco, non va bene come alla Samp: solo 18 presenze, 3 gol e il saluto in direzione River Plate, un'altra volta, per miliardi 5. Una minusvalenza selvaggia, di questi tempi. Ma il calcio di fine anni novanta era un po' diverso e l'Italia poteva fare la voce grossa con un po' tutti.

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