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Maddaloni: "Lippi come Marco Polo. Covid? In Cina si combatte così"

di La Giovane Italia
La Giovane Italia vi porta alla scoperta dei nuovi talenti del calcio italiano, raccontandovi ogni giorno, alle 8:45, le storie dei giovani di casa nostra e dei club che scommettono su di loro
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A settecento anni di distanza da Marco Polo, per certi versi Massimiliano Maddaloni ha ripercorso, calcisticamente parlando, la Via della Seta. Dopo una carriera in Italia legata soprattutto al settore giovanile della Juventus, nel 2012 il tecnico di Napoli ha scelto di seguire Marcello Lippi nella sua esperienza in Cina al Guangzhou Evergrande. A quella avventura ne sono seguite di diverse, compresa la guida tecnica di diverse rappresentative giovanili cinesi; l’ultima, come vice di Roberto Donadoni, è appena terminata. Il tecnico quindi dopo otto anni è tornato in Italia, in attesa di sapere quale sarà il suo futuro, e a La Giovane Italia ha raccontato la sua esperienza in Estremo Oriente.

Mister, la tua esperienza allo Shenzen si è appena conclusa. Cosa ha portato te e Donadoni a lasciare la squadra?
“Siamo arrivati in un momento in cui stavano cambiando anche alcune cose a livello dirigenziale, con l’ingresso di un general manager abbastanza conosciuto a livello globale, particolare nella gestione del gruppo e invadente con lo staff. Ci siamo trovati in una situazione in cui era difficile lavorare. Esprimevamo un buon calcio, ma purtroppo i rapporti erano complicati e abbiamo fatto fatica a lavorare. Alla fine, di comune accordo, abbiamo risolto il contratto".

Hai vissuto per otto anni il calcio cinese, un vero e proprio pioniere. Quali sono le cose che sono cambiate di più in questo periodo?
“Quando arrivai assieme a Lippi nessuno conosceva quel calcio. Era anzi in una forma ancora di sviluppo, anche arretrato per certi versi: non c’erano centri sportivi, non c’erano squadre di settore giovanile, a volte negli stadi mancava l’acqua calda e bisognava lavarsi in albergo. Marcello in questo è stato veramente bravissimo, ha migliorato questi aspetti e lavorato sulla mentalità e la cultura sportiva. Il vero Marco Polo del calcio cinese è stato lui. Oggi sono passati fior fior di giocatori e ci sono ottimi allenatori come Benitez, Villas Boas, Eriksson, Van Bronckhorst, Jordi Crujiff. Rispetto al 2012 il movimento è cresciuto tantissimo".

Hai parlato di mentalità. Qual era l’atteggiamento dei giocatori quando siete arrivati?
“Il discorso è semplice: non essendoci settore giovanile, con i ragazzi che si allenavano senza fare campionati, mancava un punto di partenza. Nelle scuole calcio non c’era l’idea di portare a livello più alto dei giocatori evoluti a livello tecnico tattico. Abbiamo cercato di fargli capire cosa si poteva fare, senza stravolgere le loro abitudini ma provando a fargli intendere che con il lavoro i professionisti si sarebbero potuti avvicinare a quelli europei".

Ora sei in Italia. Pensi di tornare in Cina o di provare a restare?
"Quando sono rientrato mi sono dato un attimo di tempo, devo capire come si evolvono alcune situazioni intorno a me. Però mi manca l’Italia, mi piacerebbe ricominciare da qui perché sento un po’ di nostalgia di casa".

Hai già avuto qualche contatto?
“Non ne ho avuti, ma credo molti siano convinti sia ancora in Cina".

Sono appena terminate le competizioni europee. Che spunti hai notato guardando la fase eliminatoria di Europa League e Champions?
“Noto che il calcio con il Covid è cambiato. Alcune varianti hanno influito, sia in positivo che in negativo. Solo il fatto di giocare in uno stadio vuoto rende una partita particolare, perché i tifosi condizionano l’andamento di una gara, sia per le squadre in campo che per l’arbitro, costretto a sopportare più pressioni. Ho visto un calcio più libero da un punto di vista tattico e ne hanno beneficiato quei calciatori che risentivano maggiormente delle pressioni in campo. Un’altra particolarità è che squadre ferme da mesi come Lione e PSG sono arrivate quasi in fondo. Questo vuol dire anche che gli aspetti fisici sono stati determinanti fino ad un certo punto, ma che molto l’hanno fatto anche la tattica e la capacità di adattarsi ad una situazione anomala".

Venendo da un’esperienza in Cina, come hai visto la pandemia nell’epicentro mondiale?
“Sono tornato a marzo in Cina e ho subito trovato un paese che aveva avuto il Covid e che stava cercando di uscire da questa situazione con delle accortezze importanti, con un popolo molto attento alla prevenzione. Si sono chiusi al mondo, non lasciando entrare alcuno di esterno. L’atteggiamento avuto per uscire da questa situazione è stata la cosa che mi ha più colpito: ho visto un senso civico molto più alto che nel resto del mondo".

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Martedì 7 Maggio 2024
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