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Profondo Ronaldo: l'affare che la Juventus non poteva permettersi

di Ivan Cardia
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

Lo chiamiamo caso plusvalenze, ma alla fine il cuore di "prisma" torna a essere Cristiano Ronaldo: un affare che per la Juventus rappresentava un ambizioso e rischioso salto nel vuoto. Per coprire il quale, che siano lecite o meno, la società bianconera ha fatto ricorso in maniera disinvolta a una serie di operazioni che oggi mettono tutto in discussione.

“Pensavamo di raggiungere il Real”. Il virgolettato meno minaccioso tra quelli fuoriusciti dall’inchiesta della Procura di Torino, peraltro senza paternità certa, è anche quello che racconta, meglio di tutto il resto, le ambizioni e le ingenuità dell’ultimo triennio della Juventus. Una nuova stagione, iniziata col siluramento di Beppe Marotta, proseguita con l'infausta svolta “giochista” da Allegri a Sarri, nella quale il momento spartiacque è stato l’arrivo in Italia di Cristiano. Un affare che la Juve era convinta potesse rappresentare il definitivo salto di qualità di una società - e una squadra - alla quale il panorama italiano iniziava a risultare troppo stretto. E voleva iniziare a sedersi ai ristoranti da mille euro, altro che cento.

Il colpo del secolo, appena prima della tempesta. Nell’estate del 2018, sembrava che Ronaldo e la Juve si fossero incontrati nel momento perfetto. Lui, campione planetario arrivato ai titoli di coda del rapporto con il Real Madrid, pronto a conquistare l’Italia dopo aver fatto sue Inghilterra e Spagna, in una sorta di grande slam calcistico. Lei, in cerca di un testimonial che ne certificasse lo status di nuova potenza del pallone europeo, e magari la conducesse per mano alla conquista dell’agognata Champions League. A quel costo - 115 milioni di euro per il cartellino: alto ma non inarrivabile - Ronaldo era il miglior calciatore che la Juventus potesse prendere. E la Juventus - una società blasonata ma pronta a mettersi ai suoi piedi per passare al next level - il miglior club in cui Ronaldo potesse andare. Nessuno dei due poteva prevedere quello che sarebbe successo, la tempesta rappresentata dalla pandemia. Nel momento di massima espansione - e quindi esposizione - l’emergenza sanitaria ha travolto conti che si sarebbero dovuti sistemare con i futuri dividendi dell’affare perfetto. In questo contesto, si è trasformato in un macigno.

Il bilancio impossibile. Fare i conti in tasca a un trasferimento così totalizzante risulta complicato. Il saldo è positivo o negativo? I livelli su cui ponderare la risposta sono molteplici. Se parliamo di brand, il passo in avanti è innegabile. Che Ronaldo si potesse pagare solo con le magliette è stata una burla alla quale nessuno ha mai creduto, sin dall’inizio. Appoggiandosi a lui, però, la Juventus è cresciuta. Nei follower, che hanno fatto registrare un’impennata senza precedenti, tanto da portare la società a entrare nell’Olimpo dei club più seguiti al mondo. Nella presenza su mercati emergenti o già emersi e fin qui poco aggrediti dal calcio italiano. Nell’immagine - e il ritorno che essa comporta - a livello planetario. Sotto il profilo sportivo, la medaglia ha il suo rovescio. In tre anni, Ronaldo ha realizzato 101 gol, disseminati su 134 partite. È un bottino eccezionale, che ha portato in dote due scudetti su tre. Sono sembrati pochi solo perché a Torino erano arrivati anche i precedenti sette. Il salto in avanti, in questo caso, non c’è stato: l’addio di CR7 ha lasciato un vuoto enorme, forse incolmabile, ma la sua presenza non ha portato la Vecchia Signora più vicina all’affermazione in Champions League. Al contrario: i risultati ottenuti, forse sarebbe meglio dire gli step raggiunti, nel triennio precedente sono superiori ai traguardi che la Juventus di Ronaldo ha tagliato. Se sul piano personale non ha fallito - anzi, sotto questo profilo la sua cessione è stata sottovaluta - il suo apporto alla squadra non è stato tale da farle fare quel balzo che ci si attendeva. Mica tutta colpa sua: attorno a CR7, la dirigenza ha costruito una squadra pretenziosa e costosa, con alcune operazioni di mercato contraddittorie - Kean ceduto e ricomprato, Romero praticamente svenduto - e l’arrivo di giocatori che guadagnano molto di più di quanto non rendano sul campo. Qualcuno ha detto Rabiot?

A livello economico, Ronaldo è convenuto solo a Ronaldo. Tanto per cominciare, nonostante all’inizio sia stato dato per scontato, lo stipendio del portoghese ha rappresentato un macigno insostenibile, perché non alleggerito dal regime fiscale previsto dal Decreto Crescita. Il cinque volte Pallone d’Oro ha infatti fatto ricorso alla flat tax, molto conveniente per il diretto interessato ma per nulla interessante per la società di appartenenza. Nei tre anni di Ronaldo - coincisi in larga parte con la pandemia da Covid-19 - la Juventus a conti fatti non ha visto il crescere il suo fatturato (dai 621 milioni del 2019 ai 480 del 2021). In compenso, a esplodere sono state le perdite, in rapida progressione: -40 nel 2019, -90 nel 2020,-210 nel 2021. Un punto di non ritorno. Sono stati necessari due aumenti di capitale, l’ultimo dei quali - il club lo ha scritto nero su bianco con l’ultimo comunicato in cui viene addirittura messa in discussione la continuità aziendale - di pura sopravvivenza. Oggi, l’affare finisce al centro dell’inchiesta “prisma” portata avanti dalla Procura di Torino. Più che le plusvalenze - che rischiano di essere un muro di gomma contro cui i pm andranno a sbattere - l’arma del delitto vede ancora protagonista Ronaldo. È la famosa “carta che non dovrebbe esistere” e nessuno sa davvero se esista. Sul suo contenuto ci sono solo supposizioni e sembra tanto un caccia al tesoro, ma se dovesse saltare fuori - e avesse il contenuto che gli inquirenti sospettano - rischierebbe di cambiare la storia di questa indagine. Sarebbe l’ultimo patto col diavolo che la Juventus ha stretto, per potersi permettere Cristiano Ronaldo. Il colpo che non l’ha resa davvero grande e che oggi rischia di affossarla.

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