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La crisi, le big three, il calcio che cambia. La versione di Agnelli

di Ivan Cardia
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Dribbla le domande più complicate. Resta "collaterale" rispetto alla vicenda legata a Juventus-Napoli e rimanda al Ministero le domande sulla violazione dell'isolamento da parte di Cristiano Ronaldo. Ringrazia l'allenatore della Coppa Italia di Serie C ma non quello del nono Scudetto consecutivo, poi però a domanda risponde e spende parole importanti per Maurizio Sarri. Col quale non si era creata la giusta alchimia, e questo a un certo punto era diventato così evidente da non poter essere ignorato. L'ultima curva è una staccata: per evitare di dire fesserie, parole sue, rinvia la risposta sulla Superlega. Ma il non detto pesa quanto il detto, e l'impressione che resti un progetto nel cassetto c'è. Andrea Agnelli, forse anche perché lo richiede il contesto, parla di finanza, più che di pallone. E ci racconta, nella sua versione, come il calcio stia cambiando.

La crisi lo ha messo in ginocchio. È il punto da cui partire. I numeri sono piuttosto impietosi, la pandemia ha messo all'angolo lo sport più bello del mondo. Sarà che forse ci era arrivato malfermo? Chissà, sta di fatto che 360 club in tutto il mondo dovranno versare denaro fresco nelle rispettive casse. La Vecchia Signora lo ha già fatto e per questo si sente tutto sommato sicura, anche se poi quei 90 milioni di rosso in bilancio fanno alzare come minimo un sopracciglio. Ma è la strada che la Juve di Agnelli ha intrapreso da anni: scommettere sull'evoluzione del gioco in qualcos'altro. Un affare, un business. E infatti la Juve si divide in due: c'è la parte sportiva, che resta affidata a Paratici. E poi l'area business. Che non è il salottino silenzio di un frecciarossa, ma il campo su cui si gioca la partita più importante.

OTT, fondi, l'intesa con Inter e Milan. La grande novità è l'ultima: per la prima volta in dieci anni, Agnelli sente vicine le altre due milanesi. Le big three del calcio italiano, i club che sono prima aziende e multinazionali che squadre di calcio. Le sente vicine perché finalmente c'è comunanza di interessi e perché forse le milanesi hanno capito che la direzione della Juve è quella da seguire. Non è più tempo di mecenati e magnati, ora il calcio si fa sul serio. Era così prima della pandemia, a maggior ragione è così dopo il virus che ha scosso il mondo. È la cara vecchia idea che alla Continassa hanno da un po' di tempo: essere dieci anni davanti a tutti. Si traduce in ambito sportivo, perché lo staff di Pirlo, l'allenatore che è una scommessa e per questo va difeso dal resto del mondo, è il modello per quello che tra un decennio sarà lo staff di qualsiasi grande. Un insieme di professionalità, mica solo le care vecchie amicizie e consetuedini. Se poi il professionista lo conosci da tutta la vita, pure meglio. Ma la versione di Agnelli va oltre: si parla di OTT (per capirsi, media onnicomprensivi e che tutto fagocitano, come Amazon o Facebook), di fondi di private equity. Di Amazon che sembra pronta a prendersi la Champions League (non lo dice Agnelli, ma il quadro è quello) e Netflix che potrebbe sbarcare in Italia (anche qui, non mettiamo in bocca al presidente della Juve cose che non ha detto, è il contesto). Così, in parte, si perdono nel vuoto le polemiche legate all'attualità, con cui poi però bisognerà fare i conti. C'è il progetto aziendale, il rischio economico e tecnico, il profitto e lo sguardo a lungo periodo. È un calcio sempre meno fai da te e sempre più professionale. Chissà se siamo pronti.

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