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È molto più complicato del previsto

di Ivan Cardia
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

"È molto semplice", recita l'autobiografia di Massimiliano Allegri. Che di una propria citazione dell'aprile 2017 ha fatto una filosofia di vita. Il calcio è semplice, l'obiettivo finale è il risultato. Il tecnico della Juventus, di allora e di oggi, era per la cronaca alla vigilia di una partita decisiva, contro il Barcellona, che avrebbe poi vinto nel segno di Dybala. "Alla fine, tutto è molto semplice - ripetè Allegri nel giugno del 2017, in un'intervista rilasciata a Paolo Condò - basta avere giocatori bravi e sapere passarsi la palla". Aveva appena vinto il suo quarto scudetto in carriera, coi bianconeri ne sarebbero seguiti altri due. "Il calcio è semplice, ragazzi. È inutile complicarlo, è semplice": qui siamo al settembre, sempre del 2017, sulle pagine di GQ. Tra le altre cose, Allegri annunciava che avrebbe smesso dopo cinque anni, nel 2022: il suo contratto attuale va decisamente più in là, ma è normale. Si può cambiare idea.

È molto difficile. A furia di ripetersi e ripeterci che il calcio è semplice, il rischio è che il giochino possa rivelarsi un po' più duro da risolvere come rebus. Non che rivoltare la Juve come un calzino potesse essere una missione così facile. Troppo brutta, la versione della scorsa stagione firmata Pirlo. Del resto, nel momento di essere accompagnato, più o meno gentilmente, alla porta, Maurizio Sarri non esitò a definire "inallenabile" la squadra che aveva avuto per le mani e che ciò non di meno aveva portato alla vittoria del nono scudetto consecutivo. Traguardo non banale perché, come ha sempre ricordato Allegri in un altro sua mantra, vincere non è mai scontato. Riportare i bianconeri ai livelli che da loro - e dal loro monte ingaggi - sarebbe lecito attendersi, si sta rivelando molto più complicato del previsto, appunto. Dopo il miglior momento di un avvio di stagione a tinte fosche - il successo sul Chelsea - hanno fatto seguito tre partite non proprio entusiasmanti: con lo Zenit, la Juve ha vinto. Con l'Inter, l'ha sfangata. Col Sassuolo, ha perso, nel modo che brucia di più. Perché Allegri l'aveva inquadrata tra le partite da vincere. E l'ha invece persa dopo che i suoi ragazzi hanno tentato, in maniera disperata, di fare quello che l'allenatore aveva chiesto loro.

Il calcio è un po' più complicato del previsto. Si rialzerà, la Juve. Ne sono tutti più o meno convinti, perché le invidualità a disposizione di Allegri sono quelle di attori di prima fascia. I ma, d'altra parte, sono tanti. È stata sottovalutata la cessione di Cristiano Ronaldo: non è andata come a Torino speravano, ma trenta gol a stagione sono una garanzia che è difficile sparpagliare per la squadra. Quest'ultima, del resto, è in questo momento assente: è una somma di giocatori, la Juve di oggi, più che un gruppo con una sua vera identità. E se questo è storicamente sempre andato a genio ad Allegri, è anche vero che la "sua Juve", quella dei cinque scudetti di fila e delle due finali di Champions, aveva un'idea di calcio molto chiara, che oggi. Non solo: giocava bene, soprattutto nel primo triennio. Il mito che vincesse praticando un brutto calcio è arrivato soltanto dopo, e l'impressione è che abbia costruito in buona parte a costruire l'idea di un Allegri cinico. Il livornese stesso sembra aver sviluppato una sorta di reazione allergica al giochismo imperante, che l'ha portato a simboleggiare l'altro estremo di una battaglia ideologica. Nella quale corre il rischio di impantanarsi, perché la sensazione, forte, è che oltre ai limiti più o meno evidenti della Juventus come squadra, Allegri sia rimasto indietro, fermo a convinzioni che in realtà, proprio per l'idea pragmatica di allenatore che ha sempre rappresentato, non ha davvero mai elevato al rango di ideali e ideologie. Mentre il calcio, complicato, è andato un po' più avanti.

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