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ESCLUSIVA TMW - Pasqualin si racconta: “Io, ragazzo con passioni e obiettivi. Baggio il mio rimpianto”

di Alessio Alaimo
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Settantanove anni e non sentirli. Claudio Pasqualin è storia del calciomercato italiano, il figlio Luca la continuità per il presente ed il futuro. I primi passi nel mondo del calcio, Del Piero, il rimpianto Roberto Baggio; le passioni per la bicicletta, la cucina, la musica. L’avvocato è insignito di numerosi riconoscimenti e lo sguardo è sempre rivolto al futuro. TuttoMercatoWeb.com lo ha intervistato per la rubrica “I giganti del calcio”.

Avvocato, quando decide di fare il procuratore sportivo?
“Ho anche un passato da calciatore. Giocavo nel campionato riserve con l’Udinese, sfiorai la presenza in prima squadra. Andai al Venezia. Ma ho cominciato a bazzicare il mondo del calcio in ambito legale nel 1971. Divenni segretario dell’Associazione Italiana Calciatori. Il primo approccio con un calciatore è stato casuale: stavo riflettendo sul da farsi, nel frattempo cominciava a spuntare la figura del procuratore. Un giorno suonò al mio studio un calciatore del Vicenza, Eligio Nicolini, un trequartista tutto pepe e fantasia. Mi chiese di occuparmi del suo contratto, non feci troppa fatica a discuterne. Al momento del pagamento non seppi dire quanto mi doveva e gli dissi ‘fai tu’. Quell’assegno valeva chissà quante uscite in pretura, visto che mi occupavo di penale. Restai a bocca aperta. E per quanto fosse poco era sempre tanto. Ho fatto quattro conti e ho pensato: ‘vale la pena che mi dedichi a questo mondo’. Intanto ero già diventato vice presidente dell’Associazione Italiana Calciatori. E dopo una settimana avevo già mezzo Vicenza. Da lì cominciai a guardarmi intorno e girare l’Italia”.

Fino a diventare il procuratore di Del Piero. Come è arrivato a lui?
“Il tam tam batteva. Non potevo esimermi dall’andare a vedere questo ragazzino. Mi lustrai gli occhi; anche un cieco si sarebbe accorto che quel ragazzo aveva qualcosa in più. Telefonai a sua madre, che aveva sentito parlare di me perché frequentavo una trasmissione molto seguita a Tele Padova. Mi ricevette subito, c’era anche il marito. Poi ebbi il consenso per parlare con il figlio, con cui nacque un feeling spontaneo”.

Ha assistito anche Vialli.
“In quello spogliatoio ne avevo più di uno: all’epoca i calciatori si parlavano tra loro. Alla Juve ho assistito Marocchi, Fortunato, Montero e molti altri. Con Vialli è stata una grande avventura, ero spesso a Stanford Bridge e spesso capitavo accanto a Mike Bongiorno che era molto amico di Gianluca. Ricordo che dopo il suo primo gol tutta la tribuna d’onore si riversò su di me. Assistetti alla trasformazione da allenatore e gli consigliai di prendere un po’ le distanze dai suoi ex colleghi”.

Chi è Claudio Pasqualin fuori dal campo?
“Un ragazzo, mi definisco ancora tale, con tanti obiettivi e numerose passioni. Dalla musica al vino, passando per la cucina e la bicicletta. E sono un amante dell’arte antica: ho approfittato di tutte le soste in giro per il mondo per ricercare oggetti artistici che avessero a che fare con il calcio”.

Tra le passioni c’è la musica. Se le dico Paolo Rossi?
“Abbiamo inciso quattro cd nel contesto di un’associazione che si chiamava “Voci dal cuore”. Ci siamo trovati più volte vicino Roma, dopo la mattinata in sala di incisione la Cacio e Pepe era d’obbligo. Ci sentivamo felici con quelle cuffie e quel microfono addosso. Ho cantato anche recentemente all’Ariston di Sanremo per Campioni e Canzoni, vincendo il premio eleganza”.

Avevate un rapporto forte.
“Un rapporto speciale. Abito sopra quella che fu la sua ex casa. Tant’è che Paolo spesso diceva ‘Pasqualin ce l’ho sempre in testa’”.

Procuratore sportivo affare di famiglia: anche suo figlio Luca da ormai qualche anno fa l’agente. Come si è trovato anche lui nel calderone?
“Tutto in maniera spontanea, normale. Ha fatto la sua tesi di laurea su di me. È una persona seria che si fa apprezzare per professionalità e modi garbati”.

Immagina anche i suoi nipoti in questo mondo tra qualche anno?
“Hanno otto e dieci anni, difficile immaginarli adesso. Ma a volte resto stupito nel sentirli parlare. Sono due bambini molto intelligenti, le qualità base potrebbero esserci. Hanno la passione per il calcio, vedono nonno e papà: potrebbero essere invogliati. Chissà”.

Negli anni ha scoperto la bicicletta.
“A circa sessant’anni un amico mi ha coinvolto prestandomi tutta l’attrezzatura. Con relativo accappottamento al primo semaforo rosso. Ho cominciato con grande passione facendo tutte le corse possibili e immaginabili fino alla Maratona delle Dolomiti, ai campionati italiani per avvocati e quelli per giornalisti”.

Tanti anni di calcio e tante emozioni. Ce l’avrà un rimpianto?
“Essere stato il procuratore di Roberto Baggio solo per pochi giorni”.

Si spieghi meglio…
“Mi aveva investito di questo incarico a casa sua. Poi ho constatato che aveva un’altra persona che già lo assisteva: Vittorio Petrone, che gli curava l’immagine. Ad un certo punto sull’uscio della porta Roberto mi disse: ‘Glielo dici tu a Vittorio?’. Ero andato via con la certezza che diventasse un mio assistito. Poi non se ne fece più nulla. Oggi ci salutiamo cordialmente”.

Il momento più bello?
“L’abbraccio di Del Piero quando firmammo il contratto del secolo. Li ho temuto per le mie costole”.

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