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Zhang in Italia solo per la vittoria dello Scudetto. Fra Inter, Milan e Juventus perdite per 550 milioni. Nessuna azienda normale sopravvivrebbe, ma meglio avere montagne di debiti che pochissimi

di Andrea Losapio
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© foto di Lorenzo Di Benedetto

Dovevano essere giornate di giubilo, quelle di aprile scorso per l'Inter. Perché il club veleggiava verso la vittoria del campionato, vincendo tutte le partite che capitavano a tiro. Il club sembrava a un passo dalla cessione, visto che Suning aveva necessità di liquidità e aveva difficoltà a fronteggiare i debiti che l'Inter stava contraendo mese dopo mese. Poi la Superlega, che doveva dare un obolo una tantum alle partecipanti (Milan, la stessa Inter, Juventus - ne parleremo poi) e che di fatto sarebbe andato a pareggiare il rosso di bilancio che i nerazzurri hanno ufficializzato giusto qualche giorno fa. Un terrificante -245,6 milioni. Un qualcosa di epocale e di epico, perché si tratta davvero di una montagna di soldi.

In tempi normali non sarebbero stati problemi per Suning, vista la quantità di moneta che spostava e di cui disponeva. Ma la pandemia ha cambiato il mondo in Cina e nelle scelte di investire del governo. Certo, qualcuno potrebbe obiettare come mai i regional sponsor siano passati in un anno e spiccioli da 130 milioni di euro a praticamente azzerarsi. Qui potete trovare il focus sul bilancio 2020 dell'Inter, quello scorso, dove c'era già una perdita rilevante sul fronte sponsor cinesi. Indubbio che l'avvento della pandemia abbia peggiorato ulteriormente tutto quanto. In tutto ciò non abbiamo tenuto conto che ci sono circa 45,6 milioni spostati sul bilancio 2020-21 ma che normalmente sarebbero di pertinenza 2019-20.

Detta brutalmente: l'Inter non è per nulla sostenibile se non con un massiccio intervento da parte di un Paperone che, come fatto da Elliott con il Milan, ripiani tutto. Può farlo Suning? Difficile. Così è da mesi che, nel sottobosco milanese, si parla di un possibile cambio di mano a ottobre, anche se il nome è assolutamente top secret. Marotta dice che la situazione è tranquilla, sicuramente con il pubblico molto migliorerà, così come alcune situazioni (Nainggolan, Conte o Joao Mario - per lui sarebbe da scrivere un libro sul perché vengono rifiutati milioni per poi risolvere il contratto a zero un minuto dopo) che non ci saranno più. I 115 milioni di Lukaku sono un palliativo.

La verità è che il calcio spende e spande per perpetuare il proprio infinito bisogno di soldi. È un business gigantesco in cui i risultati sportivi arrivano molto dopo quelli finanziari, spesso non della squadra ma del singolo. Anche perché se le aziende fossero sane non potrebbero pagare certi stipendi. C'è chi dà la colpa ai procuratori, sicuramente parte dell'ingranaggio, ma quando i debiti contratti con loro sono di una decina di milioni all'anno, come possono essere loro il problema principale?

Un'altra verità indiscutibile è che non c'è un freno perché nessuno fallisce mai. C'è sempre un grande interesse nel calcio perché c'è un giro enorme, mai visto prima, di soldi che arrivano a cascata. Dalle tv, i veri padroni del pallone. Se ne stanno accorgendo anche i tifosi che sono costretti, con il Covid, a spendere centinaia di euro per un posto che prima, forse, ne costava 50. La situazione in Tribuna Rinascimento per Atalanta-Young Boys è paradossale: prima partita di Champions a Bergamo, 50% della capienza, 900 biglietti (su 9000) rimasti invenduti. C'è bisogno di rientrare per tutti dai costi della pandemia, più sei strutturato e più hai avuto perdite. I Percassi fanno il contrario degli altri: sono bravissimi a guadagnare sul calcio mantenendo bassi gli stipendi (e chiudendo bilanci da record) ma poi il gruppo generale è in perdita, soprattutto per colpa della pandemia, in questo caso.

Il calcio è in mano alle televisioni perché il 70% delle squadre non esisterebbe senza gli introiti del campionato. Non degli spalti, ovviamente, sempre più fatiscenti e vuoti. Ma di chi guarda da casa un campionato ai limiti del paradossale, dove ci sono squadre che percepiscono 20 milioni e altre oltre i 100, alla faccia di un qualsiasi equilibrio. E che con la Superlega ne volevano almeno 300 (una tantum, poi si sarebbe visto).

Anche Milan e Juventus hanno avuto grossi problemi con il bilancio. Se per i rossoneri è una condizione costante negli ultimi vent'anni - probabilmente solo quando sono stati ceduti Thiago Silva e Ibrahimovic si è arrivati a un sostanziale pareggio - i bianconeri hanno incominciato anche loro a speculare sulle plusvalenze. È un enorme gioco delle tre carte che ha un solo fine: evitare il fair play finanziario, poi arriva qualcuno a fare un aumento di capitale per ripianare le perdite. Sono 550 milioni di perdite per le tre big, senza contare la Roma. Nessuna sopravviverebbe se non ci fossero dietro interessi da centinaia di milioni, debiti straordinari e banche che devono rientrare dei loro prestiti e investimenti. Meglio essere super indebitati che virtuosi fino a un certo punto, semplicemente perché il legaccio è troppo attorcigliato per essere spezzato.

Ci sarebbe bisogno di un cambio di rotta, che non è quello di chiedere fondi allo stato, semplicemente perché sono aziende in difficoltà già da tempo, con un'abbondante dose di trucco per evitare di vedere quello che è chiaro a tutti. Cioè che il calcio non è più qualcosa che coinvolge ma, sostanzialmente, un rapporto fra una società e un cliente. E quando il cliente si stufa di spendere perché la distanza con la persona normale è siderale (allenamenti chiusi, porte chiuse, stadi costosissimi e bruttissimi, zero equilibrio, stelle che vanno via e vengono strapagate dagli sceicchi) la scintilla non c'è più. L'amore è finito, andate in pace.

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Mercoledì 1 Maggio 2024
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