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Troppo frettolosamente allontanato, Mauricio Pochettino, il piemontese d'Argentina, è tornato di moda. Per lui è pronta una panchina importante

di Carlo Pizzigoni
Giornalista, scrittore, autore. Quattro libri, tanti viaggi. Tutti di Calcio. Su Twitter è @pizzigo. Su Twitch con @lafieradelcalcio
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Lo devono aver pensato, la sera di Monaco, ma già nella notte di Parigi, al PSG, che abbandona mestamente la Champions League, dopo essere stato messo KO dal Bayern, un KO no contest.

Lo devono aver pensato anche a Londra. Nello stadio pieno di luci e vuoto di anima, mentre si avvicinano alla fine della stagione, fuori anch’essi dalla competizione europea dove agli avversari del Milan hanno lasciato il controllo del campo e delle aree, senza mai una volta impensierire Maignan.
Lo devono aver pensato anche in Italia, a Milano, visto che per il dopo Conte qualche intermediario aveva fatto il suo nome alla dirigenza e a Torino dove, fosse ancora al comando Giampiero Boniperti, sarebbe proprio lui, allenatore di origini piemontesi, il tecnico della Juventus.

È nei pensieri di tanti, oggi, Mauricio Pochettino, nei “si dice” anche in quelli di Florentino Perez che non digerisce la visione della classifica della Liga, anche se il Real Madrid guidato da Carlo Ancelotti vola in Champions, dopo averla vinta l’anno passato (ma alla Casa Blanca funziona così: quando dai 99 e non 100, non è sufficiente).

È legittimamente nei pensieri di tanti. Almeno di quelli che ricordano che l’eliminatoria più complicata del Madrid poi campione è stata proprio quella contro la squadra della capitale francese, che ha dominato 150 minuti su 180, e che dopo l’errore o il mezzo fallo su Donnarumma, tutto è cambiato (“il momento più complicato del cammino verso la finale è stato con il PSG, a un certo punto abbiamo pensato che fosse impossibile eliminarli” ha detto a trofeo sollevato il cerebrale Casemiro). Anche chi ha buona memoria e un minimo di competenza riconosce che la stagione migliore di Kylian Mbappé è stata quella con l’argentino in panchina, ed è stato proprio Poch a liberarlo da un complesso mentale che poteva rallentare il suo enorme talento. 

La conferenza stampa dell’altro giorno di Antonio Conte ha fatto parecchio rumore: “Qui non sono abituati a giocare per qualcosa di importante. Non vogliono giocare sotto pressione, non vogliono giocare sotto stress. La storia del Tottenham è questa da 20 anni, non hanno mai vinto”, ha detto l’allenatore italiano. A quei vent’anni poteva anche aggiungerne altri, e in fatto di mentalità è opinione diffusa che sia proprio il tallone d’achille degli Spurs. Che però una sola volta sono arrivati a un passo dal vincere la Champions League, perdendo solo in finale dal Liverpool di Klopp. E in panchina c’era Pochettino, che aveva costruito attorno al genio di Eriksen una squadra credibile trasformando tanti giocatori anche sul piano mentale.
Mauricio Pochettino, ti accorgi quando non c’è più, è un manager moderno e di altissimo livello.In Inghilterra si è fatto apprezzare al Southampton prima e al Tottenham poi, non solo per i modi educati, ma per la sua capacità di creare valore, aggiungendo valori, lui che, non a caso, qualifica Marcelo Bielsa come un “secondo padre” (il Loco lo scoprì e lo fece debuttare nel suo Newell’s).

Nell’anno della cavalcata di Champions con gli Spurs dove fece fuori anche l’Ajax dei miracoli di Ten Hag che aveva gli scalpi di Juventus e Real Madrid, ha detto in una stupenda intervista sul Pais: “L’obbiettivo è vincere, d’accordo. Ma il tema è anche il come vincere. Dobbiamo aiutare il club a sviluppare i suoi progetti e quindi a lasciare dentro ai giocatori non solo il calcistico che tentiamo di insegnargli, come posizionarsi in campo o come interpretare questa o quella situazione, a migliorare tecnicamente e fisicamente. Dobbiamo lasciargli però anche una certa pace, che il mondo non gli dà. Non sono molti gli uomini che vivono in pace con se stessi. Il nostro approccio è prima di tutto umano e poi calcistico: le nostre riunioni di inizio anno, infatti, riguardano il lato umano e il lato sportivo, sono divise in due parti, con una attenzione particolare per il primo aspetto. Qui sta il successo. Il lavoro che facciamo ha una responsabilità enorme. Non riguarda quindi solo un'impresa che deve ottenere risultati economici, che ovviamente devono essere bilanciati con quelli sportivi, ma non possiamo permetterci di lasciare da parte l’aspetto umano. Non usiamo i nostri calciatori come fossero un divano, una sedia, un computer: i giocatori sono persone, con i loro problemi e le loro emozioni. È importante per loro ma è anche importante per il club questa attenzione e questa formazione".

Così si crea valore, così si gettano basi per progetti a medio-lungo termine, così si programma. Ecco quindi il progetto, ecco quindi il lavorare dentro e fuori dal campo per costruire il giusto percorso per Mbappé, che è più importante di un titolo vinto (peraltro nella sua prima mezza stagione, Poch prende il posto di Tuchel con la squadra al terzo posto). Dopo alcuni anni di Tottenham, i giornali inglesi evidenziavano come degli ultimi 29 debuttanti nella nazionale inglese, ben 12 arrivavano da squadre gestite da Pochettino. Lavoro e formazione. Cultura e attenzione. 

Il calcio di questi anni, con gli allenatori manager, l’idea di progetti a lungo termine ambiziosi e che coinvolgono il pubblico, che chiede di essere ascoltato e rispettato, e non solo con la proposta calcistica, necessita di uomini come Mauricio Pochettino. Il proprietario del Tottenham Levy, quando parlava del suo tecnico, lo vedevi con gli occhi luccicanti. Aveva compreso la portata dell’uomo, che si mescolava perfettamente a quello che voleva dal Tottenham. Oggi i bookmakers danno proprio il Poch come il principale candidato alla successione di Antonio Conte sulla panchina degli Spurs. Non è nostalgia, è sguardo verso il futuro. Tocca pensare così, ma non è il solo a farlo. Poch è giustamente tornato di moda. Lo dice il calcio.

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