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Rivoluzione Juve, ma solo in campo. Gli Scudetti sono 34. Valzer del moscerino: Napoli-Sarri, Inter-Spalletti, Lazio-Inzaghi, solo il Milan ci proverà per Conte (se salta la coppia Gattuso-Mirabelli)

di Andrea Losapio
Nato a Bergamo il 23-06-1984, giornalista per TuttoMercatoWeb dal 2008 e caporedattore dal 2009, ha diretto TuttoMondiali e TuttoEuropei. Ha collaborato con Odeon TV, SportItalia e Radio Sportiva. Dal 2012 lavora per il Corriere della Sera
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© foto di Lorenzo Di Benedetto

Ogni anno la stessa, identica, storia. Massimiliano Allegri sembra sulla graticola, poi vince lo Scudetto e la Coppa Italia - 4x4, complimenti - e rimane alla guida del club italiano più famoso. Anche nel mondo, dopo che l'egemonia Milan, dovuta soprattutto alle Coppe Campioni, è diventata, di fatto, un duopolio. La Juventus piace, sia in patria che fuori, tranne a quella metà di Italia che non la tifa. Facile intuire il perché, non dovuto solo a una storia di vittorie, né di dichiarazioni forti su quel che è importante o meno. Allegri, dicevamo, che è come muovere la pietra angolare di tutto il nostro calcio. Perché nella prossima settimana incontrerà la dirigenza juventina, cambierà le carte nel proprio mazzo - troverà Emre Can, Mattia Caldara e Leonardo Spinazzola, anche se quest'ultimo in convalescenza per sei mesi dopo operazione al crociato - e darà il via a un nuovo domino. Quello dei calciatori. Tutti cedibili, nessuno escluso. No Dybala, no Mandzukic, nemmeno Higuain. La Juventus è entrata nel futuro, forse avrà bisogno di un anno di rodaggio, ma arriveranno grandi giocatori a sostituire chi andrà via. L'idea Griezmann sarebbe quella corretta, ma forse è arrivata in ritardo di un paio di anni (e con un Barcellona che ci punta forte è difficile). Nessuno guarda in faccia nessuno, in bianconero. Nemmeno la storia, impersonificata in Gianluigi Buffon, può far saltare i piani. Il club prima delle persone, in tutti i casi, anche per l'allenatore.

D'altro canto Allegri, finché vincerà, potrà essere il termine di riferimento per tutti. Se dovesse liberarsi (con una probabilità del 5%, destinata a ridursi ulteriormente) la panchina della Juventus, allora un grande valzer delle panchine potrebbe partire. Ancelotti, Sarri, Giampaolo, Inzaghi, Gasperini, tutti quanti si aspettavano un piccolo terremoto che, alla fine, probabilmente non ci sarà. Poi bisognerà vedere per quel che riguarda il tecnico napoletano, rimasto con il cerino in mano e senza una vera alternativa al rimanere (chissà se controvoglia) in azzurro, quando già pregustava ingaggi milionari e fatturato da grande club. Nell'anno successivo a quello in cui De Laurentiis porta a casa 66 milioni di utile, Sarri non ha avuto un acquisto vero, uno che scompigli i piani. È comunque andato vicino allo Scudetto, "perso in albergo a Firenze". Questa è la vera differenza di mentalità fra la Juve e il Napoli, anche tra Allegri (che nel suo recente passato si è aggrappato agli errori arbitrali, come per il gol di Muntari) e Sarri. L'espulsione di Pjanic era lapalissiana, enorme, gigantesca, così come era difficile da digerire il colpo inferto dai gol di Cuadrado e Higuain. Ma arrendersi così è stato delittuoso. Solo con i grandi campioni (e il carisma) si possono vincere gli Scudetti in certe situazioni. Anche stavolta non c'è stata differenza.

La Juventus comunque era forte su Simone Inzaghi, della Lazio, così come i biancocelesti lo erano su Gasperini, dell'Atalanta. Il Napoli voleva Giampaolo ma sondava anche Emery (Ancelotti ha rifiutato cortesemente), così le prime sette non cambieranno il proprio condottiero. Anzi, nove se consideriamo Fiorentina e Sampdoria. Anzi, non è vero. Perché per Gattuso c'è stato un rinnovo contrattuale degno di questo nome - 3 anni e mezzo a 2 milioni e passa - ma rischia di pagare la gestione Mirabelli. Il dirigente è sempre più sulla graticola, l'Europa è assicurata ma il sesto posto no, bisognerà capire se farà la differenza, sia in positivo che in negativo. La ridda di voci sul suo futuro non accenna a smettere, sicuramente il risultato in campo non sarà migliorato rispetto all'anno passato, nonostante i 230 milioni di euro. Il Milan ha gettato alle ortiche una stagione, strano che i giudizi siano, almeno da una parte della stampa, ancora così positivi. Qualche cosa di buono è stato fatto, da Calhanoglu a Bonucci, passando per Kessie e mantenendo il punto su Andrea Conti. Per il resto bisognerebbe rifondare, un'altra volta, a meno che non si creda che Gattuso sia come il Conte degli anni alla Juventus, che arrivava dal settimo posto di Delneri. Ecco, appunto, chissà che non sia Conte il prescelto per la panchina, dopo praticamente tutte le vecchie glorie che si sono avvicendate (Leonardo, Filippo Inzaghi, Seedorf, Brocchi e, in ultimo, proprio Gattuso) finalmente un allenatore affermato e che ha vinto qualcosa, diversamente dai Mihajlovic o dai Montella.

Bello il giro dei portieri, con Gianluigi Buffon che si è preso dieci giorni per pensare alle prossime mosse, magari accettare la corte del Paris Saint Germain, forse sperare in quella del Real Madrid o del Manchester United (dovesse andare via de Gea, direzione Castilla, appunto), oppure in quella, affascinante, del Boca Juniors, che però ha Marchesin nel mirino. L'altro Gianluigi, Donnarumma, potrebbe andare a Liverpool, dove Karius e Mignolet non rappresentano una certezza per Jurgen Klopp. Il tedesco ha ottimi uffici con Raiola, vorrebbe anche Kluivert jr - che è già ai ferri cortissimi con l'Ajax, come il portiere del Milan, appunto - e lo ha già incontrato negli scorsi giorni per capire le basi dell'operazione. Quanto vale Donnarumma? Difficile dirlo, perché il più costoso è stato Ederson, del Manchester City, per 40 milioni di euro, almeno per il dopo Buffon, 53. Una cifra vicina probabilmente lo sbloccherebbe, con una grossa commissione per Raiola da corrispondere almeno da parte dei Reds. E Perin? Il portiere del Genoa è stato individuato come l'erede di Buffon, ma né in Nazionale né alla Juventus potrà esserlo. In azzurro c'è Donnarumma. Nel club partirebbe come secondo di Szczesny, nonostante che le quotazioni possano presto avvicinarsi.

Infine la questione Scudetti, stucchevole come non mai. Buffon e i giocatori lo hanno sempre detto: loro hanno vinto il Tricolore con il lavoro che facevano sul campo. Quelle due Juventus erano davvero straordinarie, quasi al livello stratosferico di questa, è anche giusto credere che i giocatori credano tutt'ora di essere i più forti. Ma c'è una sentenza e andrebbe rispettata. O andrebbe fatta rispettare, perché i 36 tricolori all'Allianz Stadium sono qualcosa di anacronistico, è voler scrivere la storia senza fare i conti con la giustizia. Non è una cosa che può passare in cavalleria, è paragonabile al Napoli di De Laurentiis che si attribuisce 8 punti in più perché rubati dagli arbitri, dal Var, dal Fantasma Formaggino. Gli scudetti sono 34 e non è una scusante tirare in ballo le posizioni di Inter o della Roma di quei tempi perché "così facevan tutte", e c'è chi è andato in prescrizione e chi no. Certamente quei vessilli non andavano ri-assegnati, invece che dati al terzo classifica (dall'altra parte succede così in altri sport), né le altre coinvolte dovevano rimanere impunite. Poi si potrebbe discutere sulla congruità delle pene in base a quel che è accaduto, ma si finirebbe in un ginepraio. E già così potrei essermi attirato più di un'antipatia, ma, per bilanciare tutto ciò che ho scritto, vorrei sottolineare come non tifi nessuna squadra della Serie A che andrà in archivio stasera, vinta dalla più forte. Complimenti alla Juventus.

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Lunedì 31 Dicembre 2018
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