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La Serie A, con questi numeri, si completerà. Il playoff è il piano di emergenza, non la scelta

di Tancredi Palmeri
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Fa quasi paura crederci. Perché ci vuole un attimo a perdere l'illusione, ma che al 26 maggio – ventidue giorni dopo l'inizio della fase 2 – i nuovi casi di coronavirus siano solo 397 su 58mila tamponi, è un dato che rispecchia le più rosee previsioni. Non possiamo ancora esprimerci sulla fase 3 – praticamente iniziata il 18 maggio con la riapertura di tutto, e sul quale i primi numeri attendibili arriveranno verso il 4 giugno – ma quello che sta succedendo è che si stanno raccogliendo pienamente i risultati non solo del lockdown, ma anche della prima settimana di riapertura con consapevolezza del distanziamento, delle protezione personali, dell'attenzione nel non creare situazioni di promiscuità.
E in questa realtà che muta - e se rimarrà così vuol dire che muta radicalmente – è giusto che mutino anche le circostanze per la ripresa della Serie A. Innanzitutto, con questi aggiornamenti, con un computo di nuovi casi giornalieri sotto i 500, si alza la possibilità di finire il campionato. Anche se dovessero esserci nuovi casi tra i giocatori.
Perché il Cts ha già fatto un grosso, grosso passo verso la Serie A quando ha concesso anche in caso di insorgenza di un nuovo contagiato il prosieguo degli allenamenti collettivi, seppur in regime di quarantena (anche se viene chiamata isolamento fiduciario, perché la rosa va in quarantena tutta assieme per 14 giorni). Significa in caso di stop al massimo saltare un paio di turni ma potere essere poi subito abili e arruolabili, e la Figc allungando la stagione si è data un cuscinetto di un mese di tempo in più che può assorbire almeno un paio di stop.
Ma la situazione può ulteriormente variare, e con senno.
Perché ricordiamolo: il concetto non è essere o non essere a favore della ripresa della Serie A, ma fare in modo che possa essere fatto in sicurezza per quelli che ne sono coinvolti, dagli aitanti calciatori ai meno aitanti magazzinieri o allenatori o chicchessia.
Per questo dire adesso: “facciamo come fanno in Liga e Bundesliga, togliamo la quarantena collettiva” non ha alcun senso per il semplice fatto che lo facciano in Liga e Bundesliga, per la solita esterofilia d'accatto all'italiana.
Si può invece ragionare sul darsi dei parametri. E allora sì, in quel caso, la Serie A potrebbe chiedere di rimuovere la quarantena. L'esempio arriva dalla Germania, non dalla Bundesliga ma dalla politica, ed ha senso non perché arrivi dalla Germania ma perché è il principio che conta: nei Laender, l'equivalente delle nostre regioni, le amministrazioni hanno stabilito che se si sorpassa un prestabilito numero di contagiati al giorno, scatta l'immediato lockdown per l'area in questione.
Ecco, la Serie A potrebbe parlare con il Governo proprio di questo: chiedere dei parametri nazionali di contagio, sotto i quali possa avere senso pensare a rimuovere la quarantena, e addirittura accogliere un numero limitato di spettatori allo stadio (si può pensare al 10% di un impianto, cioè 4mila in uno stadio di 40mila persone).
Basarsi su un criterio, e non su una flessibilità astrusa fine a sé stessa, come la richiesta senza capo né coda di ridurre il periodo di quarantena a 7giorni, giustamente respinta dal comitato scientifico con un comunicato categorico: una idiozia senza fondamento, perché o non c'è il pericolo – e allora si può discutere sulla rimozione della quarantena – o c'è ancora il rischio, e allora la quarantena è solo di 14 giorni. L'assurdità di richiedere una quarantena di 7 giorni (propria del governo inglese, e stendiamo un velo pietoso in merito) è simile alla storiella di quella che è incinta, ma appena appena.
Dunque è sensato discutere sullo stabilire delle soglie minime di contagio nazionale e locale, sotto il quale si possa rimuovere l'eventuale quarantena delle squadre qualora rimanga isolata solo a un singolo caso.

Così come ha senso discutere dei playoff. Ma non nella maniera in cui si sta facendo adesso.
Non è mai stata la questione: vi piacciono o no i playoff?
I playoff non vi devono piacere. Non sono una giacca da mettersi per andare a una festa, da preferire al dolcevita. Sono uno straccio da mettersi addosso qualora si rimanga nudi.
I playoff sono solo una cura se il campionato si dovesse ammalare. Niente di più, niente di meno.
Non c'è da farseli piacere, non c'è da scegliere.
Se il campionato può finire – e la possibilità cresce sempre di più – finirà come è giusto che sia.
Se, Dio non voglia, la situazione tornerà a essere complicata nazionalmente, o anche settorialmente nel calcio, i playoff saranno la cura da cavallo per chiudere la situazione.
C'è da fare soltanto una cosa: preparare le buste di emergenza da aprire nel caso si fermi il campionato. Con dei criteri terzi.
Semplicemente: se la Serie A si ferma alla 27° giornata, un certo piano playoff che coinvolge tot squadre; se si ferma alla 28°, un altro piano con tot squadre, etc. Stabilire un criterio, a cui aggiungere la variabile che oltre un certo gap di punti non si disputi il taluno playoff per quella posizione. Niente di più semplice.
Non c'è niente da farsi piacere: se vi scoppiasse la ruota in autostrada, preferireste camminare sul cerchione e distruggere la macchina piuttosto che montare il ruotino che vi porti a destinazione, solo perché il ruotino è antiestetico?

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Lunedì 6 Maggio 2024
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