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La Champions non ci tira su, Malagò a piedi uniti e i giovani veramente giocano?

di Luca Marchetti
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© foto di Federico De Luca

Se il campionato ci aveva ritirato su il morale, riconsegnandoci la voglia di calcio, la Champions un po' ce ne toglie. Insigne, è vero, ci ha fatto vedere che sta arrivando a dei livelli internazionali (e questo fa aumentare il rammarico) Juve e Roma invece non riescono a utilizzare i loro matchpoint.
Per la Juve era difficile ipotizzare di battere il Barcellona, ma una vittoria avrebbe regalato ai bianconeri la qualificazione con un turno di anticipo. E' vero che è ancora in piedi tutto per la Juve ma quella rivalsa che ci si aspettava dopo lo scivolone di Genova, non c'è stato. La Juve non è stata brillante, ha sofferto (e questo ci poteva stare) anche se ha provato a graffiare. Basta un dato ad indicare la serata poco efficace dei bianconeri: la Juve ha fatto un possesso palla del 36,4%. In questa stagione solo una volta i bianconeri hanno fatto peggio tra tutte le competizioni: sempre 36.4% e sempre contro il Barcellona nella sfida d'andata. Ancora Allegri avrà da lavorare per ritrovare quella macchina quasi perfetta della scorsa stagione: lui ha detto di avere le soluzioni e non ne dubitiamo, visto che la qualità della sua conduzione e la qualità della rosa non è in discussione. Quello che può fare la differenza (ma questo lo sanno per primi i senatori juventini) la fa la testa. Quello che sta cercando di fare anche Di Francesco con la Roma. La partita con l'Atletico è stata scorbutica. Il risultato probabilmente è bugiardo nelle dimensioni, non in assoluto. L'Atletico aveva più voglia di vincere rispetto a una Roma che obiettivamente da un Atletico all'altro ha veramente fatto un salto di qualità. Ed è stato evidente anche nella partita. E quello che la Roma ha (a differenza della Juve) è un turno più "comodo". In casa con il Qarabag i giallorossi hanno ancora il match point e se vincono passano il turno in uno dei gironi più difficili della Champions. Insomma Juve e Roma hanno il destino nelle loro mani, il Napoli deve sperare, nonostante la netta vittoria di martedì. E al di là della Champions siamo ancora in un momento di profonda riflessione del calcio italiano. E ancora la strada da fare è moltissima. L'ultimo capitolo è stato scritto da Malagò, presidente del Coni in una conferenza stampa tanto incisiva quanto chiara, nei suoi intenti. Il Coni avrebbe voluto commissariare la Federcalcio, ma non può. Perché se qualcuno si opponesse arriverebbe un ricorso al TAR che potrebbe annullare tutto. E allora Malagò nel suo discorso spiega comunque la sua posizione e la strada che, secondo lui, si dovrebbe percorrere.

Il commissariamento servirebbe per cambiare le regole, per rinnovare profondamente il calcio, perché di questo c'è bisogno. Non solo di un cambio ai vertici, quindi non solo delle dimissioni di Tavecchio. La discriminante ora passa alle due leghe più importanti la A e la B, ancora senza presidenti. Dovessero arrivare all'elezione il calcio si ricompatterebbe e avrebbe la possibilità di cambiare senza interventi esterni. Interventi che però, sempre secondo Malagò, solo necessari e possono essere fatti con un lungo commissariamento. E' come se stavolta il presidente del Coni avesse indicato alla A e la B di non dover per forza eleggere i presidenti. Il mancato accordo, in questo caso, sarebbe una scelta precisa: accompagnare la Federazione verso il commissariamento (visto che mancherebbero i presidenti delle leghe principali). E quindi verso un cambiamento, naturalmente condiviso da una maggioranza "politica" ampia. Si apre ora dunque una grande e nuova trattativa che con il calciomercato c'entra poco ma con il calcio forse tutto. Bisognerà capire nei prossimi giorni la posizione delle società professionistiche: hanno la percezione e la convinzione di poter modificare e migliorare il calcio senza aiuti interni e senza eventuali ingerenze da parte di un commissario (e quindi del Coni) oppure accettano la lettura di Malagò e comincia una stagione di confronti comuni per cambiare regole e impostazioni in maniera più radicale.
Sarà decisamente interessante seguire l'evoluzione della vicenda e dovremo avere la forza, la pazienza e la curiosità di non sminuire a "politica sportiva" queste dinamiche: da questi movimenti, esattamente come succede per il mercato, può dipendere l'esito più o meno positivo di trattative. Solo che stavolta sul tavolo non ci sono contratti da firmare, commissioni o questioni tecniche, ma veramente una serie di pesi e contrappesi (che vanno dall'autonomia del calcio alla volontà di cambiamento o di ristrutturazione su tantissimi aspetti del calcio).
Come esempio, puramente di scuola, riportiamo un'analisi fatta dal CIES sull'utilizzo degli U21 in Europa, nei cinque paesi più importanti in Europa (Italia, Spagna, Inghilterra, Germania e Francia). Sono stati presi i primi 10 più utilizzati per ogni zona del campo: portieri, difensori centrali, terzini, centrocampisti difensivi, centrocampisti offensivi e attaccanti. Bene 54 nomi (i portieri sono solo 4) e soltanto 8 giocano in A. Meno ancora se consideriamo gli italiani: 7 (l'ottavo sarebbe Pol Lirola del Sassuolo). A cui per onore di "regolarità" dovremmo togliere anche Crosta che ha giocato soltanto l'8% dei minuti disponibili.
Quindi 6 italiani U21 che giocano con regolarità Donnarumma, Romagna, Adjapong, Barella, Mandragora e Chiesa. Sicuramente bravi e sicuramente di avvenire. Ma peggio di noi solo la Spagna (che fa giocare solo 7 U21), addirittura l'Inghilterra con 9 ci supera. Senza parlare della Germania (11) e Francia (19). Ecco perché forse conviene cominciare a fare davvero delle riflessioni più che profonde. Indipendentemente che arrivino da un commissario o meno...

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