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Juve: la questione europea e l'obiettivo già raggiunto. Milan: è il momento del silenzio (e delle scelte). Inter: c'è qualcosa che va oltre il campo. Napoli: 90' studiati a tavolino

di Fabrizio Biasin
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© foto di Alessio Alaimo

Buonanotte, tra brevissimo parleremo di calcio.

È andato in onda lo show denominato Miss Italia, che poi è il celeberrimo concorso di bellezza. Una volta funzionava così: un gruppo di ragazze molto belle si metteva in mostra e il pubblico decideva (“Questa è la più bella, questa è la seconda, questo è un cesso fotonico”). Ora no. Per questioni di , si sono inventati una marea di puttanate. Tra le altre il “Presentatevi come se fosse un tweet, in 140 caratteri”.

“Ciao, sono Rosamunda: no alla fame nel mondo, aiutiamo i bisognosi, salviamo il Panda di Komodo, il mio codice voto è lo 01”. Bravissima.

“Ciao, sono Marzia: oltre le gambe c’è di più, le parole hanno importanza e feriscono, anch’io volevo dire del Panda di Komodo ma Rosamunda mi ha preceduto, infatti il mio codice è 02”. Precisa.

“Ciao, sono Gualtiera: partecipo a Miss Italia ma sono contraria alla mercificazione di me stessa. Io non mi voterei perché non mi reputo bella, il mio codice è lo 03 ma preferisco se fate un’offerta per i poveri”. Strategica.

“Ciao, sono Orazia: sono qui per sbaglio perché ho accompagnato la mia amica, ma poi hanno preso me perché lei assomiglia al Baffo dei Ricchi e Poveri. Il mio codice è lo 04”. Spavalda.

“Ciao, sono Silvana: io non mangio il Buondì Motta perché sono contraria a un certo tipo di pubblicità, dico no all’olio di palma e sì all’immigrazione, ma solo nel rispetto di tutti. Il mio codice è 05”. Supercazzolara.

“Ciao, sono Bedonia: la mia amica pensa che non mi abbiano preso, ma sono qui per mostrare che la bellezza non è tutto. Tengo molto ai miei baffi e ho aperto due concerti dei Ricchi e Poveri. Il mio codice è Mammammaria”. Al naturale.

Il caro vecchio Capitan Uncino a dirigere il traffico.

Quindi hanno fatto: la prova di intelligenza, quella di cultura generale, quella della tabellina del 6 (da sempre tra le più complicate), quella dei sentimenti, quella del “quanto costa un litro di latte”, quella delle attitudini alle discipline sportive, la prova di chimica improvvisata, quella di fisica applicata, quella di “integrazione”, la prova di conduzione, la “camminata sulle braci ardenti”, la prova motivazionale, la corsa campestre, il torneo di morra cinese, forbice-carta-sasso, i regionali di rubamazzo.

Sapete chi ha vinto alla fine? La futura Montalcini? La nuova Margherita Hack? No, curiosamente la più bella. Incredibile.

QUI MILAN

Sono ovviamente i giorni della tragedia (sportiva). È arrivata la sconfitta e la sconfitta da sempre porta con sé solide certezze: riattizza chi non ti ama (vedi Raiola), risveglia antichi fantasmi (“Aveva ragione chi diceva che è tutto uno schifo!”), distrugge fragili e pessimisti (“Moriremo tutti!”).

Il dato di fatto è che da qualche anno si inciampa nel solito “equivoco mediatico” che porta molti a credere nell’equivalenza “numero di giocatori acquistati = posizione in classifica”. Ma - piaccia o non piaccia - non funziona così.

Il Milan ha svolto un gran lavoro di ristrutturazione e ha fatto molto più di quello che tutti quanti gli esperti potessero immaginare, ora però la casa va “arredata”. E, badate bene, non è solo un problema di difesa a 4 che non funziona e va traslata in una difesa a 3, ma anche di tutto il resto.

A Roma il Diavolo era senza identità. Lasciare in panca i Kalinic e gli André Silva può essere un errore, ma lo è molto di più non riuscire ad arginare un quarto d’ora di “furore” dei tuoi avversari. Che la Lazio sia una squadra con i controfiocchi non lo dice la partita dell’altroieri, lo dice un anno abbondante di buon lavoro. Il Milan ha dato idea non di mancare nei singoli, ma nella malizia, quella che ti permette di “arginare l’emorragia” con un fallo tattico in più, una palla in tribuna, un po’ di “mestiere”. Questo sì è imperdonabile.

Gran parte delle accuse sono finite sulle spalle del tecnico (legittimo) e di capitan Bonucci. Anche in questo caso non poteva essere altrimenti. È come se Bonucci volesse a tutti i costi dire “io arrivo dalla Juve, vi dimostro come si fa a vincere”: questa, però, è un’altra storia. Prima se ne accorge, meglio sarà per lui e per la sua squadra. Prodursi in 15 lanci perché storicamente tutti sanno che sei “il regista della difesa” ha poco senso se davanti a te gioca Biglia. Fare il cazziatone a Immobile per un “eccesso di agonismo”, pure. Il bene del Milan passa anche dai post sui social, dagli slogan e dalla volontà estrema di mostrarsi “rossoneri dentro”, ma certi processi non si improvvisano e non possono prescindere dalla prestazione. Senza prestazioni le parole finiscono per essere un boomerang. Dopo un’estate passata giustamente a raccontare e spiegare, ora serve (servirebbe) un Milan più “silenzioso”, dentro e fuori dal campo. Sì, anche se Raiola ti attacca, anche se qualcuno sbatterà sul piatto ulteriori ipotesi strampalate di “fallimento futuro”. Il silenzio, se hai già dimostrato di essere un club “trasparente”, può essere un buon modo per riassorbire una botta.

QUI INTER

L’Inter, finalmente, "respira".

La squadra, reduce da un mercato che per i più è stato deficitario – invece, al netto della falla al centro della difesa, appare uno dei migliori degli ultimi anni – sembra aver già trovato la cosiddetta “amalgama”, e cioè l’unica cosa che sul mercato non si può comprare. Perisic è felice, corre e segna, Icardi pure, e tutti stanno rendendo al meglio sotto le direttive di Spalletti, che al momento sembra proprio l’uomo che mancava da tempo.
Tutto bene, quindi, ma con tutte le cautele del caso. C’è ancora tanto lavoro da fare, la base da costruire in questi primi mesi deve essere abbastanza solida per reggere il peso delle difficoltà che prima o poi arriveranno. Ricordiamo come è iniziata con Mancini due stagioni fa e come è finita: cinque vittorie consecutive a inizio campionato, conseguenti ambizioni da Scudetto, squadra in convalescenza ai primi raffreddori invernali. Calma, l’inverno arriverà e solo a quel punto si vedrà se è stato raccolto abbastanza fieno.
Concedeteci a questo punto un pensiero “azzardato”. Oltre alle questioni “tecnico-tattiche”, rispetto alle ultime compagini nerazzurre sembra davvero cambiato lo spirito, e per spirito intendiamo quel senso di professionalità, di responsabilità nei confronti del club e dei tifosi (57mila al Meazza, più della terza giornata dell’anno del Triplete del 13 settembre 2009, un Inter-Parma in cui gli spettatori furono 51.232) e di condivisione del lavoro che di certo mancavano e che giustamente costituivano il primo motivo di critica nei confronti di “bravi calciatori” che non riuscivano a “fare gruppo”. Potremmo perfino esagerare e dire che questi ragazzi sembrano diventati "amici": scherzano, cazzeggiano, "socializzano" tra di loro. Per carità, conta quel che conta, ma è sicuramente qualcosa di molto diverso rispetto al recente, "drammatico" passato.

QUI JUVE

Rieccoci con la Champions League, il grande obiettivo della Signora. La campagna europea della “riscossa” riparte da Barcellona dopo il glorioso 0-0 della gara di ritorno dei quarti di finale dello scorso anno. Rispetto ad allora, il diverso contesto consente di giocare con qualche pensiero in meno e la consapevolezza che qualunque sia il risultato finale, nulla sarà perduto e comunque tutto ancora da guadagnare.

La Juve gioca le sue carte alla pari con il grande Barcellona e la cosa è già di per sé straordinaria: pazienza, lavoro e risultati hanno modificato una gerarchia che sembrava immutabile. La chiamano "programmazione" e va oltre il vil danaro.

QUI NAPOLI

La grandezza del Napoli si chiama “pazienza”. Al 65’ di Bologna-Napoli risuonava l’eco degli anti-Sarri (sì, esistono): “Il solito Napoli monocorde. Anche quest’anno non si andrà da nessuna parte”. E invece il bello è proprio lì: Sarri “insiste” come se il suo impianto di giuoco fosse una tortura giapponese, la goccia che scava fino a farti impazzire, lo schema ripetuto all’infinito che prima o poi fa male.

Se lo possono permettere pochi, collaudatissimi gruppi. Sarri cambia e neppure te ne accorgi. Capitan Hamsik non è in forma straordinaria, tutt’altro. Il suo tecnico lo cambia praticamente sempre e a quel punto trova la via del gol. È un problema? Ma quando mai. Così come il capitano è il supporto del gruppo nelle difficoltà, alla stessa maniera il gruppo supporta i singoli quando serve. Questa squadra è una potenza, qualcosa di “raro”, prima ce ne accorgiamo e meglio è.

Fine delle trasmissioni. Una settimana fa ancora non pioveva, sono finito su una montagna, nel senso di “attaccato a una montagna”, infine ho pensato a quanto sono stronzo (drammatiche foto su Facebook).
(Twitter: @FBiasin @ilsensodelgol Mail: ilsensodelgol@gmail.com).

Ciao.
Sapete quelli che “il mare bello, ma il mistero della montagna, gli stambecchi, la fonduta, altissima purissima, Levissima”? Ecco, non sono io. A me la montagna fa abbastanza cagare, mi mette tristezza, ansia, una sensazione come dire “che due coglioni”. Per dire: quando da giovanotto passavo il capodanno a Bormio per cercare di beccare qualche fighetta milanese, dopo due giorni mi si gelavano i maroni, l’umore e le aspettative di limonare venivano azzerate da frasi come “puzzi di vin brulè” o “tu hai gli sci Atomic?” (avevo gli Alfetta da povero).
Ma come sempre non è questo il punto.
Il punto è che ieri sono andato in montagna. Ma non nel senso della “passeggiatina” e della “fetta di crostata da gustare bei sereni in baita”.
Ieri sono andato in montagna nel senso che:
1) Alle 5.50 del mattino mi trovo sotto casa dell’esperto arrampicatore (non solo sociale) Filippo Facci, già secondo classificato dietro al campione del mondo Gianluca Zambrotta nel reality “Monte Bianco” su Rai2 (lui se la tira abbastanza, ma alla fine ha battuto gente del calibro di Arisa o di quello che nei film dice sempre “Mammamiacommesto!”. Il nonno di Heidi era un’altra cosa, per intenderci). Con noi l’amico e collega Andrea Scaglia, anch’egli incastrato da un giuoco dialettale del genere “andiamo a fare la ferrata ma è una puttanata, la fanno anche i vecchi di 80 anni, sii uomo!”. Io: “Ma io non ho mai fatto una ferrata, mi pare di capire che significhi che c’è del ferro e una montagna”. Lui: “Sì ecco, appunto, taci”.
2) Alle 5.51 il Facci s’incazza per la prima volta: “Come cazzo ti sei vestito? Avevo detto chiaramente NON I JEANS”. Io: “Avevo capito OGNI JEANS, nel senso di ogni jeans fa al caso nostro”. Lui accende la prima sigaretta.
3) Alle 6.00 si parte. Facci: “Hai portato l’acqua come ti avevo detto?”. Io: “No, la prendo al bar della montagna ferrata”. Il Facci si incazza per la seconda volta: “Ma quale cazzo di bar!”.
4) Alle 6.01 Scaglia dorme furbescamente a bordo del Pandino 4x4, io voglio sapere tutto di Arisa ma Facci mi stronca “è uscita dopo la prima puntata”. Io: “E Mammamiacommesto?”. Facci si accende la seconda sigaretta.
5) Alle 7, puntualissimi, molliamo la macchina in un posto appena sopra Lecco dal nome subdolo “Piani d’Erna”. Penso: “Minchia, è piano. Bene”. Di fronte a noi una funivia. Penso “prenderemo la funiv…”. Facci: “Dobbiamo arrampicarci fin lassù”. Penso subito che Arisa è tutto tranne che scema.
6) Alle 7.25 dopo breve camminata vedo una catena conficcata nella roccia arrampicarsi in linea verticale su una parete assai ripida. Penso: “Perché cazzo c’è una catena che penzola dalla mont…”. Ma subito mi si gela il sangue: “Occazzo”. Incrocio lo sguardo di Scaglia: “Occazzo”. Facci accende la terza sigaretta, tira fuori delle specie di elastici a forma di mutanda-per-anziani-che-si-pisciano-addosso e dice “Tranquilli, è facilissimo”. Tra le mani ha delle specie di portachiavi per metallari Anni 90 che poi scopro chiamarsi “moschettoni” o “attrezzi in grado di salvarti la vita”.
7) Alle 7.26 penso al giorno in cui mio padre mi disse “scegli, o gli scout o il calcio” e io risposi “Papà, hai mai sentito qualcuno dire “la Velina si è fatta lo Scout?” Pensaci bene”. Facci mi imbraga.
8) Alle 7.45 partiamo. Dopo due metri e 40 di arrampicata mi viene un attacco di panico. Una signora sotto di noi, evidentemente esperta, mi dice: “Se allunghi la gamba tocchi”. Facci si vergogna molto, ma non può fumare perché siamo ormai in posizione verticale. Scaglia ha ancora lo sguardo da “occazzo” di prima. La signora ci sorpassa, non la vedremo mai più.
9) Alle 8.01 il ritmo è quello del varano: 7 metri all’ora. Facci tenta la carta pizzoccheri: “In cima ci fanno i pizzoccheri! Sono buonissimi!”. Scaglia: “Quanto mancherà?”. Facci raramente dice bugie: “Dalle 4 alle 12 ore a seconda di come muovete il culo”. Io ho un mancamento e frano di mezzo metro.
10) Sarà l’idea del pizzocchero, sarà che iniziamo a fare pratica con il doppio moschettone salvavita, ma dopo le 8.30 diminuiscono gli attacchi di panico e aumentiamo il ritmo. Facci non vuole darci soddisfazione ma traduco un suo “Stronzo, te l’avevo detto di non mettere i jeans!” in “se mi dice stronzo e perché ha capito che non moriremo, altrimenti non me lo direbbe”. A quel punto appare una curiosa scala verticale.
11) Alle 9.20 chiedo a Facci: “Che curiosa scala verticale a strapiombo sul vuoto infinito, noi prendiamo l’ascensore vero?”. Facci, bel sereno sul falsopiano, sta fumando: “Bevi un po’ della mia acqua e rilassati: è facilissimo”. Scaglia, in leggero ritardo, giunge sul posto: “Occazzooooooo!”.
12) Alle 9.25, in preda al panico, veniamo raggiunti da un vecchio con fattezze stambecchiane. Si avvicina, ci squadra come a dire “cittadini…”, ci sorpassa. Memore dell’insegnamento materno (“in montagna ci si saluta sempre anche tra sconosciuti”) dico “buongiorno a lei signore!”. Quello tira dritto a velocità siderale. Facci mi guarda come a dire “cazzo saluti?”. Scaglia è teso, provo a stemperare: “Mammamiacommesto!”.
13) Saliamo sulla scala. È lunghissima. La sensazione di vuoto mi fa pensare alla massima di Giovan Maria Catalan Belmonte, alias Alberto Sordi ne I Nuovi Mostri (“solo, nell'immensità del mare, in assoluta meditazione, a contatto della natura più pura, è allora che capisci... quanto sei stronzo, a compiere queste imprese, che non servono a un cazzo”) ma intravedo gli ultimi pioli e chiedo timidamente a Facci: “E’ il momento dei pizzoccheri?”. E lui, Sadico: “No, è il momento del ponte tibetano”.
14) Alle 10.15 appare il ponte tibetano. Sono a un bivio: faccio il ponte tibetano o prendo la via lunga? La foto allegata è la risposta a quel mister che, a 16 anni, dopo un contrasto perso a centrocampo con uno molto grosso della Bollatese, mi urlò dalla panchina: “Tu non combinerai mai niente perché non hai i coglioni!”. Ricordo perfettamente che all’epoca mi girai verso la tribuna per cercare conforto nello sguardo di mio padre. Non c’era. Mi rispose il papà di tal Merazzi Francesco, terzino con buona corsa: “E’ andato al bar a bere la grappa. Dopo torna”. Sul ponte tibetano ho pensato a quel preciso momento, lo giuro.
15) Il peggio è passato. Alle ore 11.20, con le scale scalate, il ponte passato e le rocce che da nemiche offrono improvvisi e amichevoli appigli, io e Scaglia ci godiamo la natura bestiale. Facci va in fuga per scattarci le foto dall’alto – sa che ormai possiamo cavarcela - noi arriviamo in cima ridotti a stracci ma con arrogantissimi pensieri interiori che potrei tradurre in “A primavera mi faccio il Cervino in serenità, poi a giugno via con gli Ottomila, magari azzardo il Nanga Parbat, ché io non sono stronzo come quelli che nel film Everest si fanno venire le dita blu e gli cade il naso, io metto più calzini e prendo il copri-naso della Salomon”.
Facci mi risveglia dalla mostruosa fantasia: “Niente, ho chiesto, non ci sono i pizzoccheri, oggi non li fanno”. Ci rimango male, ma in quel momento dal sentiero arriva una famiglia: lui, lei e due bambini.
La bambina, rivolta a me: “Buongiorno signore”. E la mamma: “Brava, ché in montagna si saluta sempre”. Squadro il padre per capire se è avvezzo alla grappa e subito penso “Minchia, che giornata della madonna…”.

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