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Juve-Inter, la differenza tra il gioco e la vittoria. Roma, non c'è nulla. Napoli, devi farcela. Bigon e la meritocrazia: misteri del calcio

di Michele Criscitiello
Direttore di Sportitalia e Tuttomercatoweb
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La differenza tra la Juventus e l'Italia non sta solo nella classifica. Sarebbe riduttivo per una squadra che a dicembre, in campionato, ha vinto tutte le partite e pareggiata una. Se il calcio fosse un'equazione, allora, avremmo risolto molti problemi e ci saremmo messi l'anima in pace. Il campo è l'ultimo anello della catena. Se non funziona, la catena si spezza prima, presto o durante. Ma si spezza. Se funziona tutto, fuori dal campo, vinci e vai avanti liscio. Dove vogliamo arrivare? A spiegare la differenza tra la Juventus e tutte le altre; perché ridursi a vedere la classifica sarebbe un'offesa a quello che la Juve ha fatto in questi ultimi anni. Venerdì ero a Torino. Entri nello stadio, ti siedi nello stadio, vedi la partita, esci dallo stadio e se ti fai una domanda hai anche la risposta. Questi sono avanti, almeno, 10 anni rispetto agli altri club italiani. Organizzazione, show, marketing, logistica e intelligenza aziendale. L'unica partita di calcio, nel nostro Paese, che ti ricorda lo spettacolo della NBA la puoi vedere a Torino. Mentre Milan e Inter cambiavano società, cercavano finti compratori, si affidavano a cinesi e indonesiani, questi costruivano un modello che gli altri neanche capivano. "Si vabbè si fanno lo stadio..." Perché la Juventus è una macchina da guerra. Ha 14 milioni di tifosi ma è l'unica grande squadra che non sente la pressione. Non c'è mezza radio che parli solo di Juve, i tifosi li ha sparsi in tutta Italia e a Torino la squadra di riferimento è un'altra. Forzo la mano, certo, ma è per rendere l'idea. La Juventus è la squadra di Italia. Il Torino è la squadra di Torino. Allo Stadium vedi i calciatori a 10 metri, a Roma li vedi con il binocolo, a Napoli già è tanto che li vedi tra buchi in tribuna e stadio con le crepe. Prendiamo come esempio le potenziali rivali dei bianconeri. Come si può fronteggiare questa leadership? Bisogna trovare una soluzione per mettere fine a questa noia di campionato. Devono crescere Milan e Inter ma hanno bisogno dello stadio. Devono diventare grandi Napoli e Roma ma hanno bisogno dello stadio. L'Inter, a Torino, almeno nel primo tempo ha giocato meglio della Juventus. Nei 90 minuti ci sta che Spalletti sia superiore ad Allegri. Il problema è nel lungo periodo. Venerdì scorso il calciatore che più mi ha impressionato, dal vivo, è stato Politano. Uno così non poteva giocare, fino a pochi mesi fa, nel Sassuolo. Icardi era un passante nel deserto. L'Inter è stata sfortunata ma, sicuramente, avrebbe meritato di più. Sovrapposizioni, marcature preventive, buona pressione a centrocampo e ordinata sulle palle inattive.

Però salta tutto se non segni e se lasci gli avversari liberi nell'area piccola.
Prendiamo l'esempio della Roma. Proprietà lontana e assente, Monchi con un doppio mercato sportivo negativo, squadra giovane e da valorizzare per il futuro ma il presente è un vero problema. Di Francesco fa fatica ad uscire dal tunnel... e anche dal ritiro. I problemi della Roma sono molteplici. Se ad ottobre e novembre puoi chiudere un occhio, a dicembre, inizi a tirare le prime somme. Sarebbe una tragedia (calcistica) se quest'anno uscisse dalle prime quattro. Sarebbe il grande fallimento di Monchi, sarebbe un freno a mano importante per la crescita del club sotto la guida di Pallotta e verrebbero fuori tanti scheletri da un armadio che inizia a puzzare. Può essere che ci sia un problema di personalità, dovuto alla giovane età della squadra, ma ci sarà sicuramente anche un problema di come è stato costruito questo gruppo e di come Di Francesco fatichi a trarre il meglio dai singoli.
Il Napoli è ad un bivio della stagione. Questi giorni possono dire tutto su presente e futuro del club. Se il campionato inizia a delineare, definitivamente, il valore della squadra di Ancelotti (seconda corazzata d'Italia e inferiore solo alla Juve regina) per la Champions è la settimana della verità. Con il Liverpool, il Napoli non ha bisogno di miracoli. Ha bisogno, solo, di fare il Napoli. Gli azzurri possono farcela; devono farcela. Sarebbe un grande traguardo, se consideriamo che in campionato la squadra viaggia spedita e il girone di Champions era proibitivo. Passasse il turno sarebbe un dicembre magico e un bilancio in pieno attivo, a metà della stagione. Gli uomini per fare il colpo, il Napoli, li ha. Bisogna tenere la giusta lucidità e sfruttare gli spazi che i reds concederanno. Perché qualcosa concedono, sempre.
I misteri del calcio sono tanti. Uno di questi stiamo provando a risolverlo da anni, su queste colonne, ma siamo onesti: non ci riusciamo e forse dovremmo metterci l'anima in pace. Ora, qualcuno penserà che ci sia qualcosa di personale oppure c'è voglia di infastidire un professionista. Nulla di più falso. Anche perché, molti fenomeni, quando parli male del loro operato minacciano querele per spaventarti, non capendo che ottengono l'esatto contrario. Lui è Riccardo Bigon, al quale riconosciamo che non ha mai minacciato, mai ha provato a spostare il dialogo da sportivo a legale, mai ha provato ad imboccare scorciatoie eppure ha preso molti più "pugni" di altri. Come, ad esempio, Walter Sabatini che sotto pressione di alcuni attacchi mediatici, ai tempi della Roma, si è rifugiato in uno studio legale per provare ad uscire dai ristoranti di Ibiza, dove qualcuno cuoce la pasta e altri fanno bruciare le torte. Bigon è un ragazzo educato, intelligente ma ci chiediamo come faccia ad avere sempre una poltrona sulla quale sedersi nonostante i risultati sportivi siano tremendamente negativi. Avrà, certamente, delle qualità che non conosciamo ma le sue squadre, finora, sono sempre state anonime, brutte, acquisti insignificanti e campionati con media punti bassissima. Eppure lui è sempre lì. Mai messo in discussione. Questa è una sua grande forza, anche se probabilmente, è la grande sconfitta della meritocrazia in un settore dove alle competenze vengono preferite le marchette (questa ultima frase è assolutamente generica e non riferita al discorso precedente).

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