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In Italia contano solo e soltanto i risultati. Sarri, il gioco che non c'è e il precedente Ancelotti: Agnelli rischia grosso. Retromarcia Milan: un grande club non ragiona così

di Raimondo De Magistris
Nato a Napoli il 10/03/88, laureato in Filosofia e Politica presso l'Università Orientale di Napoli. Lavora per Tuttomercatoweb.com dal 2008, è il vice direttore dal 2012
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Prima di iniziare a scrivere l'editoriale è giusto fare una premessa: in questo articolo non si discuterà (non avrebbe grosso senso, non sarei la persona adeguata...) di quanto siano bravi e preparati Maurizio Sarri e Stefano Pioli. Lo sono, è abbastanza evidente, altrimenti non sarebbero dove sono.
In questo editoriale mi soffermerò sul come in Italia i dirigenti maturano certe decisioni. È un discorso sui risultati, che in Italia molto più che altrove sono l'unico parametro per decidere il futuro di un allenatore. Sull'adeguatezza e sulla progettualità, altri parametri che dovrebbero avere una certa importanza e che invece non ce l'hanno.

Maurizio Sarri - Per capire e comprendere a fondo lo scetticismo dilagante che c'è in questo momento nel mondo Juventus attorno alla figura Maurizio Sarri bisogna fare un passo indietro e tornare alla domanda che oltre un anno fa portò la Juventus a concludere il ciclo Allegri.
Perché Andrea Agnelli decise di mettere la fine al ciclo Allegri? Perché quei risultati non bastavano più. Perché vincere lo Scudetto era (è...) ormai scontato, ma in Europa nelle ultime due stagioni non si erano visti passi in avanti sotto il profilo del gioco. Per vincere in Europa - questa era la convinzione - sarebbe servito un passo in avanti dal punto di vista del gioco. La sconfitta contro l'Ajax fu la prova definitiva per la proprietà che senza un gioco corale, propositivo, anche Cristiano Ronaldo non sarebbe bastato. E allora via uno straordinario 'gestore' come Allegri per far spazio a Maurizio Sarri, un maestro di calcio. Un allenatore che aveva/ha nel terzo anno di Napoli il suo manifesto e nell'unica stagione al Chelsea il precedente di successo in Europa.
Però le cose non sempre vanno nella direzione sperata e quello che è successo fin qui è sotto gli occhi di tutti: Sarri porterà a casa lo Scudetto (e che sia per meriti della Juve o per demeriti delle rivali è discorso che lascia il tempo che trova...), ma le domande di fondo sono altre. La Juve in questa stagione è davvero migliorata? E soprattutto, è una squadra a inizio ciclo e quindi con ampi margini di miglioramento o è in un vicolo cieco?
Domande a cui non è semplice rispondere, ma soprattutto risposte un po' riduttive. "Sarri verrà confermato perché è giusto concedergli un altro anno dopo aver vinto lo Scudetto", la sintesi della Juve-pensiero. Una conclusione rischiosa, perché rispetto all'ultimo anno si sono visti passi di lato più che passi in avanti e spesso anche qualche passo indietro.
Sarri era sbarcato alla Continassa col compito di cambiare il mondo Juve e invece un anno dopo è il mondo Juve ad aver cambiato Sarri, tanto che quest'ultimo si professa deliberatamente come un 'gestore'. Proprio quello che non voleva Agnelli da una figura come Sarri.
Non è una questione di valore dell'allenatore, quello non si discute. È una questione di alchimia, perché il fatto che Sarri non sia l'uomo giusto per questa Juve è più di una impressione.
Agnelli rischia di commettere lo stesso errore che un anno fa commise De Laurentiis, quando il presidente del Napoli - che aveva chiamato Ancelotti per sfidare deliberatamente la Juve - un anno dopo lo confermò perché in fondo l'obiettivo minimo era stato raggiunto (il secondo posto) anche se era evidente che Ancelotti non fosse l'allenatore giusto per il Napoli. Il risultato è quello di un gruppo che ha pagato tutto l'anno successivo, col campionato peggiore da quando il Napoli è risalito in Serie A.

Stefano Pioli - Jürgen Klopp è stato confermato alla guida del Liverpool anche dopo tre stagioni in cui non aveva portato a casa nemmeno un trofeo. I risultati sono arrivati solo dalla quarta stagione, dopo tante sessioni di mercato spese per costruire una squadra a immagine e somiglianza del manager tedesco. Meno tempo è stato dato a Josep Guardiola, che comunque al suo primo anno ha portato a casa zero titoli ma che ha sempre avuto carta bianca sul mercato e piena fiducia. Al Bayern Monaco, generalmente, quando cambiano l'allenatore lo ufficializzano già a dicembre, poi il Bayern nel frattempo può anche vincere il triplete...
Sono esempi vincenti, ragionamenti da 'grande' club. Perché un grande club è un grande club anche quando vincola le sue scelte più importanti alla direzione che vuole prendere, alle sue idee, e non ai risultati dell'ultimo mese.
E qui arriviamo a quanto successo al Milan negli ultimi 40 giorni: Elliott e Gazidis per otto mesi hanno lavorato e progettato il Milan di Ralf Rangnick. Non sarebbe stato solo un cambio di allenatore, ma un cambio di direzione. Che avrebbe avuto bisogno di tempo e di pieno supporto anche nei periodi bui (che ci sarebbero stati, soprattutto all'inizio), ma che avrebbe dato un indirizzo ben preciso al Milan: più giovane, più europeo, con nuove certezze.
E' invece bastato un mese di partite in una situazione del tutto particolare, riportarsi in zona Europa League, per sconfessare idee e valutazioni. Il Milan in settimana ha fatto una netta retromarcia e, da un giorno all'altro, ha abbandonato la linea dell'innovazione per scegliere quella della continuità. Senza entrare nel merito della scelta (ripeto, Pioli ha fatto benissimo il suo lavoro), ma questa scelta lascia un amaro retrogusto di improvvisazione. Perché in un grande club non possono bastare otto partite per scardinare le certezze di otto mesi, men che meno un eventuale quinto posto. Non è una garanzia nemmeno per lo stesso Pioli, perché con lo stesso ragionamento il prossimo anno potrà bastare un mese di risultati negativi per esonerarlo.
Questione di visione, che in Italia è sempre e comunque a breve termine. Perché i risultati sono importanti, ma diventano pericolosi se sono sempre e comunque l'unico parametro.

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Giovedì 2 Maggio 2024
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