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I giovani e il futuro, ecco la foto

di Luca Marchetti
Foto
© foto di Federico De Luca

Nella settimana della riflessione, con la pausa di campionato, si analizza la stagione. E quello che si è fatto. Ci si fanno domande. Se rimane Pirlo, se Fonseca sarà sulla panchina della Roma anche la prossima stagione, cosa succederà alle scadenze di contratto (Donnarumma in testa) eccetera eccetera. E sono domande che molto probabilmente ci porteremo dietro per diverse settimane. Non ci sono novità, magari sensazioni. Sicuramente è tutto in movimento e molto si dovrà ancora muovere: a cominciare dagli obiettivi stagionali.
E allora, questa settimana, il nostro ragionamento va lo stesso verso il futuro. Ma per cercare di capire, attraverso i dati, quale sarà il futuro del nostro movimento calcistico. Perché tutti ci siamo chiesti, dopo l’eliminazione di tutte le squadre italiane tranne la Roma, cosa sia successo al calcio italiano in Europa. E dopo una stagione così complicata dove in pochissimi hanno avuto la giusta continuità, quale sarà il futuro dei nostri club.
Futuro significa giovani. Giovani e programmazione. Sono le due parole con cui abbiamo avuto più a che fare nel corso degli ultimi anni, soprattutto, questo, in cui si è vissuto anche in un clima di emergenza economica.
Il problema è che, analizzando i numeri, l’Italia non è messa bene. Ne abbiamo parlato a Sky (nella trasmissione “23”) cercando di fare una foto dell’attualità e cercando di capire perché. E la foto è che in Italia i giovani giocano poco. O per lo meno giocano meno che nelle altre leghe del Big5.
Le squadre italiane hanno la media età più alta, di giocatori che mandano in campo. Nella classifica, nelle ultime 25 posizioni, ci sono 10 italiane. E le più “mature” sono state finora Lazio e Inter, on 28,8 anni i biancocelesti e 28,7 anni i nerazzurri. Ma la foto è ancora più nitida se andiamo a controllare quanti minuti giocano i giovani nei vari campionati.
Beh: se consideriamo dal 2000 in giù (quindi quelli che hanno meno di 21 anni) fino ad arrivare al 2004 l’Italia è penultima. Peggio di noi solo la Spagna. Di poco, ma peggio. In Spagna sono 21mila i minuti accumulati dai giovani in campo, in Italia 23mila. Tanto per darvi un paragone in premier sono 28mila, in Bundesliga i minuti giocati dagli U21 sono 35mila, in Francia addirittura 63mila. Il problema non è neanche questo. E’ che se poi consideriamo la fascia d’età più alta (i “maturi”) l’Italia balza nettamente in testa. Abbiamo preso in considerazione i nati prima del 1984: in Italia gli Over37 giocano lo stesso numero di minuti degli U21: 23 mila. Volete un termine? In Francia sono 10mila i minuti dei “vecchietti”, in Liga 5mila, in Bundes e in Premier appena 2mila. Anzi addirittura in germania non c’è nessuno che giochi nato prima del 1983...
Invece da noi l’esperto tira. Siamo primi per quasi ogni fascia d’età dal 1988 in poi.


Poi però questo dato va interpretato maggiormente. Intanto c’entra anche il mercato. Ormai la competizione fra grandi club si è spostata anche sui ragazzi e i grandi club preferiscono investire sui ragazzi promettenti perché è un investimento che ammortizzi e che comunque difficilmente perdi. Quindi si è alzato il prezzo e quindi se lo possono permettere solo poche squadre. Oppure, proprio perché sai che se sono bravi te li comprano a peso d’oro, li fai giocare (per esempio Ligue1). Però l’Italia rimane in una terra di mezzo. Non è il paese che è “nato” per vendere e quindi non c’è la mission di far fare esperienza (anche internazionale) ai giovani, ma allo stesso tempo non c’è (più) quella capacità di spesa che ti permette fino alla fine di competere con i primi 10/15 club d’Europa.
Perché diciamo questo: perché il Cies (centri studi Uefa) ha creato un parametro, chiamato experience, con cui ha messo in fila i giocatori più giovani ma nel frattempo più utilizzati. E con questo parametro chi gioca nei grandi club ha un moltiplicatore più alto. Anche loro sono partiti dal 2000. E qui la Germania la fa da padrone: Sancho, Davies e Haaland. Tre fenomeni in assoluto, i migliori della loro classe. Con cartellini già top e rendimenti stratosferici. Due nel Dortmund uno nel Bayern. Ma nei primi dieci troviamo Vinicius (Real), Foden e Torres (City), i due ragazzi del Lille (Botman e David) e Kulusveski, primo “italiano”.
Gli unici italiano nella classifica sono Tonali e Kean. Poi ci sono Walukiewicz del Cagliari e Kumbulla della Roma nella top 25. Basta.
Se scendiamo con l’età la foto si fa ancora più nitida. Classe 2001 l’Italia scompare, praticamente. Unico ragazzo nella lista è Ricci dell’Empoli. Ma nelle prime posizioni troviamo sempre giocatori importanti: Saka (Arsenal), Greenwood (United), Badiashile (Monaco). E poi qua e là si trovano i grandi club: il Liverpool per Jones, il City con Garcia, il Real con Rodrygo. Volete i 2002? Italia non c’è più. Ma rimane il Barca con Pedri e Ansu Fati, il Borussia con Reyna, l?Ajax con Gravenberch. Ci sono portoghesi, brasiliani, greci. E la Germania rimane in avanti anche sui prospetti del 2003 più interessanti: Wirtz (Bayer) e Bellingham insieme a Moukoko (Dortmund). C’è Musiala (Bayern). E ancora un bel po’ di sudamerica sparso.
Insomma l’Italia è in una terra di mezzo, nel limbo, nel guado. Come se da una parte mancasse il coraggio, dall’altra i soldi. E’ un “problema” di settori giovanili? Delle famose SquadreB? Di sicuro è un problema da affrontare, per il futuro. Per non subirlo, ma magari per cercare di addomesticarlo

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