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Attenzione: adesso i calciatori hanno paura. I presidenti della Serie A si prendono la responsabilità penale?

di Tancredi Palmeri
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Potrebbero farla facile i presidenti della Serie A, che alla fine sono quelli da cui dipendono a cascata Lega Calcio e Figc.
Perché se proprio, proprio vogliono riprendere, a tutti i costi, anche oltre l'evidenza dei fatti, allora potrebbero farla facile: perché non se la prendono loro, la responsabilità? Ma la responsabilità vera, quella che costa, quella penale. E non soltanto il metterci la faccia nell'ombra.

Avrei tanto, tanto voluto avere torto, su tutto. Ma purtroppo tutto quanto scritto negli ultimi 60 giorni – 7 giugno data ultima e unica per poter riaprire il calcio; preparazione alternativa di un piano B per non farsi trovare impreparati; accordo con le tv per cambiare l'ultima tranche in un anticipo sul prossimo contratto o pagamento; considerazione dei playoff come unica possibilità concreta di avere un minimo di fattibilità – tutto ha avuto sistematicamente verifica nella sequenza dei fatti.
50 giorni dopo, non c'è nemmeno mezza alternativa contrattuale o agonistica in ballo. Eppure l'unica cosa che si riesce a dire è: “Fateci tornare in campo, fateci tornare ad allenarci” anche se in verità non si è pensato ancora a un prototipo pratico di come questo debba avvenire nei centri sportivi, senza che nessuno rischi il contagio, e con i test preventivi nelle 96 ore prima della ripresa degli allenamenti che per ora sono solo un'idea.
Però una novità adesso c'è: i calciatori hanno paura.
Perché in tutto questo baillame di riunioni ovviamente in conference call dove nessuno giustamente si avvicina per timore del contagio, quelli a cui dovebbe toccare il ruolo più pericoloso sono i calciatori.

E i calciatori hanno paura. Non tutti ovviamente, e non sono in grado di dire se siano la maggior parte, ma una buona parte del campione di calciatori con cui sono entrato in contatto, mi hanno manifestato la preoccupazione per la ripresa. Perché si rendono conto che è ancora totalmente un'idea senza controprova di messa in pratica, quella di giocare un campionato in sicurezza.

Sono preoccupati, i calciatori. Ed è assolutamente puerile paragonarli agli altri lavoratori che torneranno a essere operativi dal 4 maggio. Non solo perché i calciatori sono stati classificati dall'Inail tra i lavoratori più a rischio, ma proprio perché il loro lavoro non è minimamente paragonabile: è l'unico mestiere dove per definizione non può essere applicato il benché minimo distanziamento sociale; dove non si può utilizzare nemmeno la protezione personale più basica; e al contemporaneo abbassamento delle difese immunitare perché sotto sforzo agonistico, si accompagna l'alto rischio dell'imbattersi nel droplet del sudore altrui.
C'è paura tra i calciatori perché non si sa cosa li possa aspettare.
E se non bastasse, ci sono anche le rimostranze di 17 medici di club della Serie A su 20 (esclusi quelli di Juventus, Lazio e Genoa) che tra i tanti appunti mossi al protocollo della Figc, si sono concentrati soprattutto sulla mancata quarantena di compagni di squadra e avversari più recentemente affrontati dall'eventuale nuovo positivo al coronavirus che venisse trovato a campionato ripartito. Il protocollo Figc dice che le competizioni potrebbero continuare con il normale monitoraggio parallelo; i medici della Serie A dicono: “No, scusate, vanno messi in quarantena per 14 giorni”, il che vorrebbe dire addio definitivo al campionato.
E lo dicono sia perché è giusto. E sia perché la responsabilità penale, nel caso qualcuno dopo il primo contagiato risulti a sua volta positivo, sarebbe la loro.
E allora, se ai presidenti della Serie A sembra tutto così assurdo, sembra tutto così un problema dal nulla, perché non firmano loro un documento dove dichiarano di farsi carico di qualsiasi responsabilità penale e civile, sollevando i medici sociali dall'incombenza.
E' una provocazione.
Ma tutti – presidenti, giornalisti, influencer - tutti sono dottori, con la responsabilità penale degli altri...

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