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3 stadi, 3 derby e 3 film diversi. Milan, il vulnus Montella. Nazionale, Conte entra in scena. Ramires, Capello lo vuole in Cina

di Mauro Suma
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Settimana di pausa campionato ed ecco che i protagonisti non diventano i giocatori o i tifosi, ma la loro cornice, il loro punto di ritrovo naturale: lo stadio, gli stadi. Milano, Genova, Roma: è stata una settimana cruciale su tutti e tre i fronti. Il fil rouge è stato soprattutto comunale a Milano, all'insegna dell'assoluto basso profilo a Genova, vissuto di pancia a Roma con la stilettata di James Pallotta ai tifosi laziali. A Milano scorre ormai nelle vene dei tifosi rossoneri il sangue del pregiudizio sulla nerazzurrità del sindaco Sala. Ogni primo cittadino ha diritto di tifare calcisticamente per la squadra che meglio crede, ma c'è dell'altro a detta dei milanisti. E quando Palazzo Marino dice il Milan si decida su San Siro, mentre l'Inter è più determinata, torna quel retrogusto amaro nei palati rossoneri. Detto che il milanista duro e puro non vuole andar via da San Siro perchè è stata la prima squadra milanese a giocarci, non si direbbe dalla sfilza di intitolazioni che lo circondano ma è storicamente così, è altrettanto vero che la convivenza non è semplice fra i due grandi club cittadini. E soprattutto non è redditizia, visto che sia Milan che Inter devono far quadrare i conti. La sensazione è che il sindaco Sala debba calibrare il suo baricentro. Sullo stadio, non è l'Inter a giocare in casa ma ci sono due club che partono assolutamente alla pari. Il feticcio dello stadio al Portello indicato dai tifosi interisti come la disaffezione rossonera verso San Siro, non solo è un fatto superato ma aveva trovato anche a suo tempo ai vertici del Milan l'ostacolo sentimentale di San Siro. Per tornare all'amministrazione comunale, un ruolo più sfumato e più laico in una vicenda così delicata non guasterebbe. A Genova ad esempio, il comune ha giocato un ruolo molto molto low profile e Genoa e Samp hanno trovato facilmente e velocemente l'accordo di comprare lo stadio al 50 per cento. A Roma c'è stata la battuta di Pallotta sui laziali allo stadio della Roma una volta l'anno, ma se verrà eletto anche in Parlamento a quel punto il presidente Lotito avrà modo di rispondere.

Fonte transfermarkt: la rosa del Milan che un anno fa valeva 187 milioni di euro, oggi dal punto di vista del valore patrimoniale è attestata sui 328 milioni di euro. Nessuno si specchia o si adagia su questo numeri in casa rossonera, perchè la classifica in campionato resta brutta. Ma al contrario sono un cruccio ancora maggiore. Preparata e motivata a dovere, questa squadra poteva evitare di perdere se non punti almeno del tempo come ha sottolineato Riccardo Montolivo. Il quale Monto ha dichiarato pubblicamente quello che diversi giocatori di diverse squadre hanno mormorato negli ultimi anni nel dietro le quinte, ovvero quel consiglio sull'empatia da migliorare con i giocatori. Nessun riposizionamento di carattere amministrativo (meglio precisarlo, con tutti gli ispettori del lavoro in baffi finti che pencolano affannosi qua e la) sia ben chiaro, del resto è lo stesso giocatore che in tempi non sospetti aveva chiaramente ammesso di non aver fatto salti di gioia per il cambio della fascia di capitano. In ogni caso se dopo le tre sconfitte del gennaio 2017 contro Napoli, Udinese e Sampdoria, la stessa gestione storica del Milan era entrata nell'ordine di idee di procedere ad un cambio tecnico, qualcosa era accaduto anche nella stagione precedente. Prima Gancikoff, poi le pieghe del closing (non potevano esserci tre allenatori a libro paga in estate...) e quindi la mancanza di alternative, è così che è andata da giugno 2016 a fino a giugno 2017, prima di arrivare a Rino Gattuso. Non è certo tutta colpa di Montella e nessuno si sogna di pensarlo, ma le modalità della rescissione e la frase alla presentazione sul Siviglia e sul Milan non hanno sgomberato, a torto o a ragione, le nubi del sentiment complessivo rossonero al riguardo. Del resto il calcio è così, va, corre, trita tutto e produce fatti nuovi, piaccia o non piaccia. E va seguito tutto, bene, al passo, senza smarrirsi nella posa delle lenzuola sul davanzale con i fatti propri esposti al pubblico ludibrio. Il calcio, quello vero, tira giù inevitabilmente anche quelli.

Non è stata solo la settimana degli stadi, ma anche quella della Federcalcio, sempre a caccia di una guida. E della Nazionale, sempre a caccia di un Ct visto che in primavera ad interim andrà in panchina Di Biagio prestato dall'Under 21. Il primo a candidarsi è stato Roberto Mancini. Le sue dichiarazioni non sono passate inosservate, tant'è che, per la prima volta in questa stagione, un certo Antonio Conte non è stato fideistico sul proprio rapporto contrattuale con il Chelsea. Il contratto c'è, ma mai dire mai. Un riferimento non necessariamente al calcio di club. Anzi proprio per nulla...

Ma allora l'Inter c'è sul mercato. Lisandro Lopez ormai sostanzialmente fatto e il lavoro duro con il Barcellona per Rafinha, dimostrano che a determinate condizioni si può operare più che dignitosamente anche in periodo di fair play finanziario. Insomma il Financial non è immobilismo allo stato puro, non è la morte civile del mercato. E il riferimento è anche a quegli allenatori, come sta probabilmente accadendo nel caso Ramires, che si rifugiano fra i paletti del FPF pur di non liberarsi di un giocatore che fa molto comodo lì dov'è, senza alcuna voglia di vederlo cambiare casacca.

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Lunedì 31 Dicembre 2018
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