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ESCLUSIVA TMW - Tomasson è campione di Svezia: "Dal Milan di Ancelotti usciti tanti allenatori. Non è un caso"

di Gaetano Mocciaro
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Il Milan di Carlo Ancelotti è tra le squadre più forti al mondo, se non la più forte se consideriamo il periodo 2002-2007: due Champions League e un Mondiale per club vinti, una finale di Champions raggiunta, uno Scudetto, una Coppa Italia, due Supercoppe europee, una Supercoppa italiana. Campioni in campo che appese le scarpe al chiodo sono diventati allenatori. Il 2020-21 solo in Serie A conta Rino Gattuso, Pippo Inzaghi e Andrea Pirlo. A cui aggiungiamo Andriy Shevchenko, Alessandro Nesta, Clarence Seedorf, Christian Brocchi, Hernan Crespo, Massimo Oddo. E Jon Dahl Tomasson. Lo "scorpione bianco" tra i 2002 e il 2005 ha giocato in rossonero 114 partite, segnando 35 reti. Da qualche anno allena: ha fatto esperienza come vice di Age Hareide con la nazionale danese con cui ha disputato gli ultimi mondiali; ha allenato in Olanda (Excelsior, Roda e Vitesse) ed è approdato in Svezia, dove come unico tecnico straniero dell'Allsvenskan ha vinto il campionato. Ai microfoni di Tuttomercatoweb proprio Tomasson ci racconta la sua nuova vita e quando l'esperienza rossonera l'abbia influenzato.

Jon Dahl Tomasson, prima di tutto congratulazioni per il titolo di campione di Svezia alla sua prima stagione
"Sono felice di questo successo perché il Malmö è storicamente il più grande club scandinavo e tale deve restare. Mi sento orgoglioso per questo titolo vinto, arrivato dopo tre anni di digiuno e nella stagione più inusuale e difficile della storia del calcio. Abbiamo giocato più partite di ogni altra squadra svedese, avendo raggiunto la finale di coppa nazionale e avendo giocato i preliminari di Europa League. Una stagione complicata. Per questo chiudere con una vittoria mi dà emozione e soddisfazione, anche se allo stesso tempo non sono mai una persona soddisfatta, mi piace migliorare sempre, chiedo sempre di più da me stesso. Per cui la prossima stagione dovremo migliorarci ancora".

Quali sono i suoi obiettivi al Malmö?
“Sono stato chiamato per vincere il titolo ma anche per costruire una nuova squadra, ringiovanendola e dare un preciso stile di gioco. Ce l'abbiamo fatta, mostrando una grande forza mentale e un grande spirito di squadra".

Unico straniero dell'Allsvenskan 2020, cosa che immagino dia maggior soddisfazione
"Sono danese di nazionalità ma mi vedo come allenatore internazionale. Ho speso la mia vita all'estero nei più importanti paesi a livello calcistico. La mia filosofia da tecnico è ispirata prevalentemente dalla tradizione olandese, dove ho vissuto per anni con la mia famiglia. Ma ho acquisito anche molto dall'Italia, nonché da Spagna, Germania e ovunque sono stato".

La prossima stagione il palcoscenico prestigioso della Champions. Sempre alla guida del Malmö
"Certamente. Sono focalizzato sul Malmö, vogliamo vincere il titolo nuovamente e qualificarci alla fase a gironi di Champions: è il nostro obiettivo".

In Italia abbiamo apprezzato il Tomasson attaccante. Ma com'è il Tomasson allenatore?
"A Malmö abbiamo creato uno stile di gioco offensivo e flessibile, che cambia continuamente durante la partita, rendendo vita dura alle avversarie. Vogliamo dominare il gioco, possiamo essere molto aggressivi e pressare alti ma anche addomesticare la partita, a seconda dei momenti e delle situazioni. Direi che la parola per definire il mio stile è 'flessibile' perché è importante essere in grado di vincere in differenti condizioni".

Lei ha giocato nel grande Milan di Carlo Ancelotti dove molti giocatori sono divenuti allenatori: un caso o Milanello è una vera e propria Accademia del calcio?
"Milanello è un posto fantastico dove poter giocare e migliorare come giocatore, sviluppando anche la tua personalità calcistica. Ognuno ha le sua idea del calcio e nel periodo in cui giocavo io c'erano i migliori giocatori che ci mettevano cuore, passione e qualità, ma anche testa. E sono certo che non sia una coincidenza che stiano venendo fuori così tanti allenatori da quel Milan, perché molti di noi hanno evidentemente mantenuto intatta la propria passione, continuando a restare nel calcio come allenatore".

Ha un modello a cui si ispira?
"Non copio nessuno, ma certamente mi sono ispirato a molti. Potrei dire Pellegrini, Morten Olsen, Van Marwijk, Trapattoni, Beenhakker. E ovviamente Ancelotti, un leader che sapeva cosa doveva fare, riusciva a mantenere la calma e l'equilibrio nel gruppo ed è così che un allenatore dev'essere, a mio avviso era il miglior allenatore al mondo in quel periodo. Oggi invece guardo altri allenatori da differenti paesi. Devo dire che attualmente è fantastico vedere il lavoro che ha fatto Pioli col mio amato Milan".

Milan che ha trovato la svolta non solo in Ibrahimovic ma anche nel suo connazionale Simon Kjaer
"Non mi sorprende il suo rendimento. Ho lavorato con lui da vicino per tre anni, in qualità di assistente del commissario tecnico della nazionale danese e Simon è il nostro capitano. Un top player e sapevo che sarebbe diventato un leader al Milan, come lo è per la Danimarca. Prima che lasciassi il mio lavoro abbiamo mantenuto per tre anni l'imbattibilità, più di 30 partite di fila in cui Simon era il capitano. Un traguardo incredibile per la Danimarca. Simon è un difensore di livello mondiale e ciò che vorrei sottolineare è il suo carattere: è nato leader, ama prendersi le responsabilità dentro e fuori dal campo".

Ricordi dei suoi tre anni al Milan?
"Ce ne sono tanti, dentro e fuori dal campo. È stato fantastico giocare per il Milan e ho amato vivere in Italia. Milano è una città meravigliosa e ho provato l'incredibile esperienza del Teatro alla Scala. Ho amato il calore degli italiani e la passione che avevano in tutte le cose. Il Milan era la squadra più forte al mondo, con uno spirito unico. Nonostante ci fossero i più grandi giocatori al mondo eravamo un grande gruppo. Tutti remavano nella stessa direzione per vincere Scudetto, Champions League e Coppa Italia. Lo spirito di quel Milan me lo sono portato dentro anche per il mio lavoro di allenatore ed è una cosa che cerco di insegnare ai miei giocatori. Uno spirito che può muovere le montagne".

Il suo miglior momento al Milan?
"La sensazione che provi segnando a San Siro davanti ai tuoi tifosi: sento ancora la loro gioia, la loro passione. Appena posso guardo sempre il Milan".

Il peggior momento?
"Chiaramente la finale di Champions contro il Liverpool. Quando trasformai il mio calcio di rigore mi sentivo che la coppa potesse essere nelle nostre mani. Pochi minuti dopo è svanito tutto. Eravamo devastati da quella sconfitta. Non ho mai avuto il coraggio di rivedere quella partita, né mai lo farò".

Nel suo curriculum da allenatore vediamo esperienze in patria, in Olanda e attualmente in Svezia. Dove si vede in futuro?
"Sono lo stesso di quando ero calciatore: un perfezionista, uno che lavora duro e che ha il calcio nel cuore. E come da calciatore ho grandi ambizioni. Ora devo pensare a fare il meglio possibile il mio lavoro, mi piace essere l'allenatore dei campioni di Svezia e per ora penso solo a questo".

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