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ESCLUSIVA TMW - Macina, il prodigio più forte di Mancini: "Tre episodi hanno cambiato per sempre la mia carriera"

di Gaetano Mocciaro
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La leva calcistica del '64 è una delle migliori che abbia avuto l'Italia, basti pensare ai nomi di Vialli, Giannini, Schillaci, De Napoli, Mancini. Proprio con quest'ultimo nelle giovanili del Bologna giocava un coetaneo, sul quale tutti erano pronti a scommettere un futuro luminoso. Perché Marco Macina da San Marino era considerato quello più forte dei due, il più talentuoso e l'Europeo Under 16 vinto grazie alle sue giocate (e a quelle di Mancini) sembra il trampolino di lancio verso una grande carriera. Esordiscono entrambi minorenni in Serie A. Ma mentre Mancini chiuderà il suo primo anno a Bologna giocando tutte le partite e venendo ceduto a fine stagione alla Samp, Macina resta sotto le due torri e inizierà lentamente a perdersi, nonostante una parentesi prestigiosa al Milan. A 25 anni la sua carriera è già finita, giusto tre partite con la neonata nazionale sammarinese da poco affiliata a FIFA e UEFA. Insieme a Massimo Bonini è l'unico rappresentante della repubblica del Titano ad aver giocato nel massimo campionato italiano. Un lontano ricordo ormai per Macina, che col pallone ha chiuso da tempo. Ai microfoni di Tuttomercatoweb ci racconta la sua storia, fatta di porte scorrevoli. Tutte, per sua stessa ammissione, rigorosamente chiuse. E che hanno cambiato il percorso della sua carriera.

Marco Macina, Lei è annoverato fra i più grandi talenti inespressi del calcio italiano
"Diciamo che il mio talento non è certamente andato di pari passo con la fortuna. Ho avuto degli episodi importanti, delle tappe importanti sfavorevoli. Ne individuo tre".

Ce le racconti
"La prima a 14 anni. Dovevo fare un provino all'Inter e non mi potei presentare per un'infezione. Non ci fu più la disponibilità dei nerazzurri. Sicuramente se fossi stato bene mi avrebbero preso e sarebbe stata una tappa importante, mi avrebbero tenuto parcheggiato vicino casa per poi riprendermi una volta maturato. Invece andati a Bologna e forse ci andai troppo presto, non avevo l'età giusta per allontanarmi da casa. Infatti calciatori così piccoli solitamente non li prendevano".

Il secondo crocevia?
"Fu quando andai a Parma nel 1984. Stavo facendo bene al punto che il Milan mi voleva a novembre, perché si fecero male gli attaccanti e per me sarebbe stata l'occasione di fare il titolare per i rossoneri. Ma il regolamento non prevedeva due cambi maglia nella stessa stagione e io già ne avevo fatto uno, da Bologna a Parma. Se fossi andato al Milan avrei potuto giocare perché loro erano senza attaccanti e avrei potuto dimostrare nel bene o nel male se meritavo quella maglia".

Il Milan però la prese l'anno seguente
"Non fu la stessa cosa. C'erano Hateley, Virdis e arrivò persino Paolo Rossi, pochi anni prima campione del mondo e Pallone d'Oro. Un ragazzino come me non aveva spazio, nonostante Liedholm stravedesse per me. Pensi che per farmi giocare arrivò a schierare un modulo a 4 punte in certe occasioni".

Arriviamo all'ultimo crocevia
"Siamo ad Ancona, in C1. Ho fatto le prime 4 partite, ho avuto un problema al ginocchio e in sostanza ho perso del tempo, perché i medici non si erano accorti subito che mi ero rotto il crociato. Mi sono operato ma la stagione era finita. E con essa la mia carriera da professionista. Una squadra che ti doveva acquistare aveva il dubbio che non fossi recuperato dall'infortunio. C'erano delle possibilità che potevano concretizzarsi ma ho preferito rifiutare per un discorso economico. Magari ho sbagliato, alla fine è stato il colpo finale perché mi sono ritrovato alla fine a smettere prestissimo".

Per Roberto Mancini Lei poteva diventare come Messi
"Mancini lo dice spesso che ero più forte di lui e considerate che non è uno molto largo dei complimenti. Tenendo conto di quel che ha fatto lui uno due domande su di me se le fa. Io ero un attaccante autentico, differente da lui. Giocavo in modo istintivo, saltavo l'uomo e avevo caratteristiche diverse: ero più spettacolare. Quando lui parla di me si riferisce al periodo in cui avevamo 16-17 anni e vincevamo i tornei con le nazionali giovanili. Quella era un'Italia già forte e io ero quello più talentuoso".

In questi anni grazie a Mancini il suo nome è tornato in auge. Le fa piacere o la infastidisce il ricorrente ricordo del talento "più forte di Mancini" ma che non ce l'ha fatta?
"lo so come giocavo non ho bisogno che me lo dica la gente, lo sapevo di essere molto forte dal punto di vista tecnico".

Cosa fa Marco Macina oggi?
"Lavoro all'ufficio del Turismo da 19 anni, il calcio è alle spalle da un po'"

Ha mai pensato di tornare nel calcio in un altro ruolo, magari come allenatore?
"No, mai".

Rimpianti?
"Nessuno e sa perché? Perché non ho colpe, niente da rimproverarmi. Io credo che alla fine doveva finire così. È un discorso che vale per tanti talenti quello di non essere stato supportato dalla situazione, dagli incastri. Le porte girevoli della mia carriera le ho trovate tutte chiuse, sempre. Posso comunque dire di aver fatto le mie stagioni regolari. Certo, mi è capitato di chiedermi dove sarei andato a giocare se le cose fossero girate bene".

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