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L'ex laziale Murgia ora è in Romania: "Sto maturando tantissimo all'Hermannstadt"

Esclusiva TMW
di Dimitri Conti
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

Dalla Roma biancoceleste alla Romania, questi i due estremi fin qui nella carriera di Alessandro Murgia. Centrocampista centrale classe 1996, dai suoi primi vagiti con la Lazio nel calcio dei grandi (la summa in biancoceleste il gol decisivo per battere la Juventus nella Supercoppa 2017) ha poi cambiato due casacche nel calcio italiano (SPAL e Perugia) finché non ha deciso di andare a misurarsi fuori dal paese. Da quest'estate è in prestito con diritto di riscatto all'Hermannstadt, l'abbiamo intervistato in esclusiva per questo Natale in chiave italiani all'estero: “Ricordare un po’ tutto il percorso è sempre bello ed emozionante per me. Sono entrato nella famiglia Lazio che ero un bambino, da quando avevo dieci anni. Ogni anno era un passetto in più verso il sogno da bambino. Sono un tifoso biancoceleste, ancora oggi mi sento legato. Lì ho respirato l’aria dei grandi, già mentre finivo la Primavera: è stato davvero bello. Poi le presenze in Serie A, i gol, soprattutto quello in Supercoppa che rimarrà per sempre perché è valso un trofeo. Ancora oggi la gente della Lazio quando mi vede mi ringrazia ancora. Poi mi fermo, riguardo tutto questo e dico che sono io a dover ringraziare. Certe emozioni non le cancellerò mai”.

Dopo è arrivata la SPAL.
“Ferrara è stata dolceamara. Siamo partiti molto bene, la scelta era calcistica ma anche di crescita personale. Lasciavo la mia città, erano tante energie positive e anche sul campo raccogliemmo una bella salvezza. I primi sei mesi sono stati positivi, tanto che decido di trasferirmi a titolo definitivo. Nell’anno successivo direi che ci sono state tante componenti per cui le cose non sono andate bene. A metà anno è scoppiato il Covid, c’è stato uno stop che ha influito tantissimo sugli umori e sulla ripartenza. Era una situazione complicata, io ero un perno di quella squadra e quindi le cose non sono andate bene anche per me. Non voglio usare giustificazioni, ma non era facile. Io poi ero al secondo anno di A... Le realtà piccole come la SPAL hanno sofferto aspetti come la chiusura dello stadio, il Mazza era sempre molto caldo”.

E come ci finisce all'Hermannstadt?
“Parto dicendo che l’idea di fare un’esperienza all’estero mi è sempre piaciuta, così come di testare nuove culture, stili di vita e lingua. Dopo tre mesi in Romania ho imparato meglio l’inglese che in dieci anni di scuola. Sono in un campionato di serie A, per rimettermi in gioco e ripartire. Cercavo la voglia e la felicità di giocare a calcio e non me ne pento, è un’esperienza che mi sta dando tantissimo, come uomo e come padre. Poi c’è il discorso tecnico, sono in un altro campionato e c’è meno tattica rispetto all’Italia ma più intensità. E una visione diversa del calcio. Ho trovato stadi super-moderni, è una realtà sorprendente”.

Come nasce questo trasferimento?
“Ho ricevuto diverse richieste dalla Romania, non c’era solo Hermannstadt. Io penso che nel calcio gli stimoli e il confronto con chi ti vuole e ti cerca sono importanti. Da parte loro ho sentito un feeling particolare, venivo da diversi anni un po' così per cui avevo bisogno proprio di apprezzamento. Posso dare determinate cose a uno spogliatoio, anche in termini di leadership. Ho parlato con il direttore, l’allenatore e ho deciso di non guardare il nome di una squadra ma cosa può darmi in questo momento”.

Il suo presente e futuro se li immagina lì? Se tornassero a bussare dall'Italia?
“Mi sento molto bene dove sono, non mi spaventa assolutamente provare un’esperienza all’estero, anche altre che siano in paesi diversi. Sento di poter avere sempre di più, anche se ovviamente non volto le spalle all’Italia. Ma in questo momento penso solo al presente, all’Herrmanstadt. So che c’è gennaio e possono arrivare richieste, sono aperto a tutto ma sono abituato come persona a pensare al presente. E questo mi dice che sono un giocatore dell’Herrmanstadt. Sto avendo una crescita anche umana che mi permette di valutare tutto quello che voglio”.

A Sibiu, o Hermannstadt che dir si voglia (la città è chiamata in entrambi i modi, ndr) come si trova?
“Ero partito un po’ restio, noi italiani siamo molto legati alla nostra terra e alle nostre abitudini. Ho pensato “chissà dove vado”, lo ammetto, e invece mi trovo in una città antichissima, bellissima e tra le più visitate della Transilvania. Sono andato da solo senza famiglia, non è facile ma sto maturando tantissimo: è una lezione continua, quanto conti la famiglia e la qualità del tempo. Sicuramente si sente la mancanza, ma quando li senti vicini anche a chilometri di distanza è una cosa che ti dà tanto. Arrivare qui è un’esperienza”.

Nella rosa dell'Hermannstadt, aspetto curioso, non c'è nulla o nessuno che riconduca all'Italia o alla Serie A.
“Lo spogliatoio è bellissimo, un solo giocatore parla un po’ italiano, Kevin Ciobotaru, e mi sta aiutando tantissimo, anche un po’ col rumeno: è giovane e potrà fare strada. In generale parlo inglese, ma va detta una cosa importante: il rumeno deriva dal latino, qualche parola è simile e, all’inizio, quando parlava il mister capivo a volte meglio lui che il traduttore in inglese. Ci sono ragazzi fantastici che mi hanno accolto benissimo: non è facile sentire tanti che parlano una lingua che non conosci, ma fa parte del gioco e dell’esperienza”.

Come è andato l'adattamento tecnico alla nuova realtà?
“Il periodo iniziale di adattamento c’è stato, è un po’ quando uno straniero viene a giocare in Italia. Il tutto è normale, avevano già giocato qualche partita e c’erano delle dinamiche di spogliatoio. Mi sono trovato benissimo, sia coi ragazzi che col mister, e infatti ultimamente sto trovando più spazio e sono felice di questo. Le aspettative erano basse, ma ora siamo settimi, puntiamo ad arrivare nei playoff adesso ma va ricordato che siamo una squadra molto più giovane come storia e struttura societaria. Il percorso fino ad oggi è stato positivo”.

Del calcio rumeno che idea si è fatto?
“Ci sono delle società che come budget sono anni luce indietro all’Italia ma alcuni stadi, per esempio, sono invece bellissimi. Anche il nostro lo è. Pesiamo l’influenza del calcio rumeno, sono meno pesanti dell’Italia, ma stanno facendo grandi cose. Penso al Napoli che ha uno stadio vecchissimo, idem Roma e Lazio o Inter e Milan. Magari l’Italia potrebbe prendere spunto, intanto è bello vedere e respirare tutto ciò”.

Si è dato un obiettivo personale?
“Penso al presente, voglio semplicemente giocare il più possibile e dare il mio contributo. Il tutto essendo felice, ho bisogno di questo. Vivo giorno per giorno, ora cerco solo di essere contento”.

Lei è riuscito nel salto, ma molti ragazzi faticano a imporsi quando c'è da passare da Primavera a prima squadra e a rimanere nel giro. Come se lo spiega?
“Quando ho vissuto ai piani alti ho sempre pensato che ci fossero tantissimi talenti che non faticavano tanto ad arrivare su ma quanto nel rimanerci. C’è tantissima pressione fisica e psicologica, sei continuamente nel mirino, le aspettative sono sempre alte: subire tutto ciò quando sei giovane non è facile. Anche per esperienza personale sento di dire che la soluzione o l’aiuto sia di lavorare sulla testa del ragazzo, di stargli vicino dentro e fuori dal campo. Che sia uno psicologo, un mental coach… Ma anche lo stesso allenatore. Ho sempre pensato che in una squadra ci sono 25 giocatori e personalità diverse, così come modo di affrontare o assorbire i problemi. Un ragazzo devi conoscerlo e così puoi fare la differenza".

Le cose stanno cambiando?
“Mi sento di dire, perché no? Magari si cerca di valorizzare maggiormente la base. Sappiamo poi che calcio e soldi sono sempre legatissimi, quindi può essere una strategia buona puntare sui giovani talenti. Da una parte una fortuna, dall’altra però c’è grandissima pressione".

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Lunedì 20 Maggio 2024
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