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Stefano Pioli, normalizzatore "on fire". Inter e Milan, due progetti troppo distanti fra loro

di Andrea Losapio

Nessuno si ricorda più della carriera di Stefano Pioli. Eppure ha vinto, seppur da comprimario, una Coppa Campioni - quella dell'Heysel - e un Intercontinentale. Ha giocato nella Juventus di Platini, nella Fiorentina di Roberto Baggio, partendo da Parma e raggiungendo quasi tutto. Eppure è più conosciuto da allenatore che da calciatore. In tempi dove gli italiani andavano per la maggiore, cioè metà degli anni ottanta, finivi per non arrivare nemmeno in Nazionale, seppur fossi un buonissimo - e affidabilissimo - difensore.

Da allenatore invece ha fatto benissimo. Aveva iniziato benino, vincendo con il Bologna lo Scudetto Allievi, poi con il Chievo Primavera. Alla Salernitana, dopo il caso Catania, riemerge in B arrivando quasi ai playoff, cosa che gli riesce al secondo anno di Modena - eliminato però in semifinale dal Mantova - e grazie a questo exploit va al Parma. Prima esperienza in A dove non fa benissimo, sostituito da Claudio Ranieri (a cui riesce un miracolo sportivo, salvando i ducali con Giuseppe Rossi) poi Grosseto, Piacenza e Sassuolo, Chievo Verona, Palermo e Bologna.

La svolta è la Lazio di Lotito, dove si qualifica anche ai preliminari di Champions anticipando il Napoli. Si dimostra allenatore da squadra di medio alto profilo, finendo poi all'Inter di Suning, dove, dopo De Boer, assume il nome di "normalizzatore". Lo fa lì - anche se viene esonerato - ma anche alla Fiorentina, dove si dimette per visioni contrastanti. Infine al Milan, in sostituzione di Giampaolo. La piazza vuole il #PioliOut ma dopo il Covid ne esce trasformato, lui come moltissimi sui calciatori. Dal punto più basso, Atalanta-Milan 5-0, alla vittoria dello Scudetto, Pioli può dire di avercela fatta grazie alle sue gambe. Oggi Stefano Pioli compie 58 anni.


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