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Francesco Totti, una vita alla Roma. Prima che Pallotta la vedesse in maniera diversa

di Andrea Losapio

Nel calcio moderno si parla spessissimo della mancanza di bandiere. Di gente che possa rimanere nello stesso club da quando inizia a calciare il pallone fino al ritiro. C'è un però, almeno rispetto a tantissimi anni fa, quando i presidenti mettevano i soldi e i dirigenti decidevano, pagando anche sulla loro pelle. E, più in generale, sceglievano molto spesso al meglio semplicemente perché erano legati al club che li stipendiava e che li aveva resi famosi, non per un guadagno personale. Francesco Totti è partito dalla Roma ed è andato in pensione da giallorosso, divenendo - come peraltro Paolo Maldini - un'icona del club. Ingombrante, decisivo, con troppo potere rispetto alle altre figure apicali, chiunque esse fossero.

Come per Daniele De Rossi una settimana fa, Francesco Totti alla Roma non poteva essere un dirigente da transizione. Avrebbe dovuto farlo da plenipotenziario, con una proprietà convinta che stesse operando per il bene della società e non per tornaconto. Cardinale l'ha spiegato chiaramente: "In America chi mette i soldi è proprietario del club". In Europa non funziona così ed è il motivo per cui i Totti e i Maldini sono fuori dal calcio.

Nel 2019 le dimissioni, a causa di mancata di vedute comuni con Pallotta. "Non ho mai avuta la possibilità operativa di poter lavorare nell'area tecnica della Roma. Non avevo mai chiesto soldi, ma penso di avere le competenze per fare il direttore tecnico. Invece hanno fatto l'allenatore e il d.s. senza neppure chiamarmi. Mi hanno invitato a Londra due giorni prima, quando avevano deciso tutto, senza chiedermi se mi andavano bene o meno. Il pensiero fisso di alcune persone dall'inizio era uno: "Via i romani dalla Roma". Hanno ottenuto quello che volevano. Gli americani hanno cercato di metterci da parte. Hanno voluto questo e ci sono riusciti". Oggi Francesco Totti compie 48 anni.


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