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Tutti vogliono un grande centravanti, ma questa volta non sarà Mancini a risolverci il problema

di Ivan Cardia

Che Nicolò Zaniolo fosse un ragazzo promettente lo sapevano un po' tutti. Eppure quando, a inizio settembre 2018, Mancini lo convocò per la prima volta in nazionale, il suddetto ragazzo promettente aveva diciannove anni, zero presenze in Serie A e una manciata di apparizioni nel campionato cadetto. Fu una sorta di manifesto programmatico di quello che il Mancio, coraggiosamente seguito da Di Francesco che lo fece esordire da titolare in Champions al Bernabeu, aveva intenzione di fare nel suo ciclo azzurro: svecchiare una nazionale che veniva dal momento più nero della sua storia calcistica. Prima la qualità, poi tutto il resto, a partire da età e curriculum. Nel caso specifico di Zaniolo, la sfortuna ci ha poi visto benissimo, ma il dado era tratto: l'Italia calcistica aveva trovato un gioiello, a portarlo alla luce era stato il commissario tecnico della nazionale.

Ora serve un grande centravanti. La sindrome svedese, la paura di non andare al mondiale per la seconda volta consecutiva, avendo scoperto che una cosa del genere può succedere, è tanta. Fra le diverse analisi dell'Italia di oggi e soprattutto di domani, quando scenderà in campo con un attacco e un centravanti tutto da decifrare, quella relativa all'assenza di un grande 9. Uno di quelli del passato, quando s'alternavano Vieri e Inzaghi, Toni e Gilardino, o ancora prima quando Sacchi poteva non convocare Vialli e uno come Chiesa passava alla storia come una comparsa nella lunga storia della nazionale italiana. Ci manca uno così, oggi, per quanto le critiche a Immobile e Belotti siano spesso troppo feroci per essere vere: a Euro 2020 c'erano loro due, in fin dei conti. Non ci si lamentava molto. Però è vero che non sono due "grandi" a livello internazionale, poco europei come ha detto qualcuno: se si dovesse scegliere cosa migliorare in questa Italia, sarebbe facile puntare il dito lì davanti.

La grande illusione: ce la risolverà Mancini. E invece no. L'esplosione di Zaniolo ha mistificato quello che un ct può fare e non può fare. Ha visto un diamante grezzo e l'ha dissotterrato: non può andare così ogni volta. Ci ha riprovato, più di recente, con Raspadori, ma non è la stessa cosa. Un po' per caratteristiche personali, un po' per le esigenze del ruolo: un grande attaccante si forgia col tempo, nelle fredde notti di provincia e nelle calde serate di Champions. È un problema che il campionato italiano deve risolvere al Mancio, non viceversa. È una questione d'impostazione, che manca perché in Serie A i giovani sono visti come un oggetto da maneggiare con fin troppa cura e cautela, col risultato che quando "arrivano" non sono più davvero giovani e quindi rimarranno per sempre indietro alla concorrenza internazionale. Come Immobile, come Belotti. Del resto, quante squadre hanno davvero seguito il manifesto verde del ct?


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Domenica 19 Maggio 2024