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Finché Buffon para noi siamo giovani. L'ultima alla Scala del Calcio meritava un'altra accoglienza

di Ivan Cardia

Gianluigi Buffon a San Siro, per la cinquantesima volta. A prescindere dall'età, chiunque di noi ne ricorda almeno una. Della sua, di età, sembra che non gliene importi più di tanto. Non è più Buffon "quello vero", non può più esserlo e forse se ne sta rendendo conto anche lui: non giocava da ottobre, chissà se sarà titolare sabato alla ripresa del campionato di Serie B. Alle porte dei quarantacinque anni, però, è bastata una parata per ricordare ai quarantamila del Meazza perché si trovavano di fronte al miglior portiere della storia. Colleghi ben più giovani di lui non avrebbero detto di no a Dzeko con la stessa reattività che SuperGigi da Carrara ha dimostrato di avere, ancora.

Finché Buffon para, noi siamo ancora giovani. Ha fermato il tempo, ancora una volta, e non è retorica. Venticinque anni fa la prima in Coppa Italia, ventisette anni fa la prima a San Siro, la Scala del Calcio. Buffon ha segnato tante generazioni di tifosi. Di italiani: i trentenni di oggi erano bambini quando lui era giovanissimo e già sembrava un predestinato. Sono cresciuti vedendolo confermare quelle prime impressioni, adesso iniziano a vedere i primi capelli bianchi e lui è ancora lì, in mezzo i pali. Anche a costo di esagerare, perché Buffon è così, esagerato, nel bene e nel male. È l'ultimo campione degli anni '90 a insistere ancora, è l'unico campione del 2006 a essere ancora in campo. Gli altri non si sono limitati a smettere: hanno iniziato altre carriere, da allenatori, da commentatori, da imprenditori, in qualche caso lontani dal mondo del calcio, in molti anche da parecchio tempo. Lui è lì, a dirci che sì, possiamo invecchiare. Ma finché para e finché lo fa come ha fatto col Cigno di Sarajevo, in fin dei conti possiamo sentirci ancora giovani. Possiamo esserlo, la nostra adolescenza è ancora in campo.

Avrebbe meritato un'altra accoglienza. E qui un po' di retorica c'è. Perché, vista la sua carriera, che Buffon non stia simpatico ai tifosi dell'Inter, o almeno a una buona parte di essi, è più che comprensibile. Avversario di tante battaglie, capitano della Juventus: rappresenta il "nemico" per gli avversari nerazzurri. San Siro, però, come Buffon rappresenta un monumento per il nostro calcio, di quelli che resistono e non si lasciano abbattere - in senso letterale, nel caso dello stadio - dal passare del tempo e dalle logiche del mercato. Sarebbe stato bello se, in quella che potrebbe essere stata l'ultima (anche se il contratto col Parma dice 2024) uno di fronte all'altro, invece di fischi e cori volgari, gli avesse regalato un tributo da avversario, ma di quelli che si rispettano. Come se tra vecchi amici/nemici si fossero detti: ci vogliono pensionare, ma noi siamo ancora qui. A ricordarvi che una volta il calcio italiano è stato davvero il più bello del mondo. Che potete essere giovani, belli e forti per sempre, basta volerlo. Sarebbe stato bello, magari quella di ieri sera non è stata l'ultima: lo sa solo quell'eterno ragazzino con la maglietta di Superman.


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