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Marino Bartoletti: Beppe

di Redazione TMW

Sono stato l’ultimo a vederlo sorridere. E questo lo ritengo un grande privilegio. Oddio, sorridere: sghignazzare, come sapeva fare lui...
Avevamo assistito assieme a Inter-Napoli: il resto, l'intervista a Giacomini, la battuta su San Gennaro "migliore in campo del Napoli", le ho già raccontate. Lasciammo San Siro ormai vuoto. Lui salì sulla sua Mini parcheggiata fuori dallo stadio per andare in Corso Sempione. Fu l'ultima volta che ci salutammo. Quando arrivai, c’era già l’ambulanza. E la faccia sgomenta di Carlo Sassi.
Che mi disse soltanto: "Beppe"!
Non un nome, ma un’invocazione di dolore. E di incredulità.

Impossibile spiegare Beppe Viola, “andato” - ripeto “andato” (cit. Jannacci), non morto - esattamente 40 anni fa a chi non l'ha conosciuto (e che a volte pretenderebbe di raccontarlo o addirittura di scimmiottarlo): è apprezzabile che i colleghi-amici che hanno avuto il raro privilegio di ascoltarlo, di leggerlo e soprattutto di frequentarlo cerchino di diffondere e di proteggere quel senso di leggerezza, di intelligenza, di sdrammatizzazione, di benedetto sarcasmo - in una parola di libertà - che oggi dà l'idea di essere pericolosamente naufragato. Sua figlia Marina trovò - fra foglietti, manoscritti, scarabocchi e articoli abbozzati - un appunto intitolato “Trenta domande mai fatte al Presidente della Rai”.
Quella Rai che ancora oggi, giustamente, lo piange (e lo rimpiange).
Ma che "all'epoca dei fatti" (come direbbe lui), nella persona del responsabile della Domenica Sportiva, non lo voleva in studio perché sudava troppo

Personalmente ho un piccolo motivo d’orgoglio: "Quelli che il calcio" si intitolò così pensando a lui


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