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TMW RADIO - Abete: "Servono le infrastrutture. Scadenze 30/6? Non ci sono formule magiche"

di Dimitri Conti
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport
Archivio Stadio Aperto 2020
TMW Radio
Archivio Stadio Aperto 2020
Giancarlo Abete, imprenditore ed ex Presidente FIGC, ai microfoni di Francesco Benvenuti e Niccolò Ceccarini
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Giancarlo Abete, ex presidente della FIGC, ha così parlato ai microfoni di TMW Radio, nel corso della trasmissione Stadio Aperto, condotta da Francesco Benvenuti e Niccolò Ceccarini: "Importante che si parli di calcio, di risultati, di competitività ed aspettative. Ci divertiamo tutti nella logica di vedere e valutare, era fondamentale ripartire".

Il futuro passa dalle infrastrutture?
"Nel calcio è una necessità, un problema di cui si parla da anni. Non abbiamo ottenuto gli Europei del 2012 e del 2016 proprio per problemi infrastrutturali, e purtroppo non si sono fatti grandi passi avanti. Siamo un paese che coglie l'occasione dei grandi eventi per rifare gli impianti. Oggi c'è necessità di investire, di programmazione e di lavori, e quindi anche il mondo dello sport può svolgere la sua parte".

Non ripartire sarebbe stata una mazzata.
"Abbiamo ottenuto il risultato che si voleva, senza alzare i toni. Un successo personale e dell'intero movimento da parte del presidente Gravina".

Ci saranno da ridiscutere i diritti tv: vista anche la Bundes, sarà questo uno degli aspetti più importante?
"La Bundesliga ha fatto un piccolo passo indietro, ma non tale da determinare impatti significativi sugli equilibri di un paese che ha sempre avuto un bilancio pari, con priorità all'ambito sportivo. Noi non possiamo pensare a un sistema di ricavi crescente, abbiamo margini di recupero non partendo da un massimo livello ma le politiche dei prossimi anni devono contrarre intelligentemente i costi ed aumentare i ricavi, così da offrire un prodotto di qualità".

La FIGC ha dato le linee guida per estensione delle scadenze al 30 giugno. Provvedimento tardivo?
"No, non è tardivo. Anche quando si parlava di ridurre gli stipendi dei tesserati e il ruolo dell'AIC, beh, questo è un sindacato che porta avanti battaglie generali e gestisce le regole alla base dei rapporti, ma ciascuno di questi si instaura tra società e tesserato. Non si poteva pensare che AIC facesse accordi-quadro su contrazione e riduzione stipendi per il Covid, anche per quella delle estensioni dei contratti è simile: non ci sono ricette magiche, né soggetti che possono interferire su certi rapporti".

Deve cambiare qualcosa anche nella Lega Serie A?
"Non sono problemi di norma, anche durante il commissariamento sentivo di norme salvifiche, ma è illusorio pensare che uno statuto determini regole di condivisione tra le società. Quello è un documento, uno strumento, ma la Lega al suo interno ha venti club, con interessi diversificati, e ci vuole lo spirito giusto. Secondo me Dal Pino ha fatto bene negli ultimi mesi, non ho condiviso quanto proposto sul blocco retrocessione, antitetico rispetto a quanto si diceva. Per pensare al futuro ci vuole equilibrio, consapevolezza delle differenze e lo spirito giusto. Vanno valutati anche i pesi ponderati della Lega A in relazione a quelli elettorali, ma non è il problema se conti il 18 o il 25%: c'è una legge dello Stato che prevede uguale dignità tra dilettanti e professionisti".

Come esce Gravina da questo periodo?
"Rafforzato nella capacità di svolgere il ruolo per cui è stato eletto: ha dovuto prendere numerose decisioni andate in collisione con specifici interessi, ma chi fa il presidente federale deve perseguire quelli giusti, e secondo me lo ha fatto".

Le 60 squadre di C sono un problema?
"Durante la mia presidenza le abbiamo ridotte da 90 a 60, togliendo anche un livello di professionismo: da quattro a tre. Se sono troppe bisognerà capire come fare, per me non sarebbe utile una doppia Serie B, che determinerebbe ulteriore allontanamento nel divario tra la A e la B, non è giusto utile fare categorie cuscinetto. Con la C unificata il sistema è stato semplificato: anche un nuovo livello di Serie C non sarebbe né carne né pesce, né è professionismo né rappresenta la dimensione territoriale".

Da parte sua c'è interesse a rientrare nel mondo del governo calcistico?
"La cosa che mi interessa di più è avere un percorso, e mi fa piacere avere considerazione del mio percorso dirigenziale che è stato corretto e rispettoso di tutte le differenze che ci sono nel mondo del calcio. Non ho interessi professionali in merito, e non ho mai preso un euro, nemmeno di diarie, da presidente federale. Posso essere una figura di garanzia per determinate situazioni".

Ad agosto vedremo la Champions. Con gli stadi aperti?
"La prudenza è fondamentale, la fiducia determinante. Io sono imprenditore e mi è stato sempre insegnato che il bicchiere, sempre lo stesso, è mezzo pieno e non mezzo vuoto. Dobbiamo essere fiduciosi, seppur non distratti: cerchiamo di vedere le situazioni positive, Gravina ha fatto bene a tenere la barra dritta".

Alla C sembrano servire riflessioni immediate.
"Gli imprenditori alimentano la passione sportiva come presidenti di società dalle loro imprese, e l'augurio è che continuino a svolgere questa fondamentale funzione sociale, ma che lo facciano coi giusti equilibri nel rapporto costo-ricavi. Tutto il sistema, e anche il paese nel complesso, dovrà riflettere e rendere compatibili i sogni con la realtà, anche se non significa che dobbiamo abbandonarli".

Lei già nel 2013 parlava della necessità di stadi nuovi.
"Abbiamo rifatto gli stadi nel periodo in cui non c'era ancora la dimensione qualitativa dell'accoglienza allo stadio, ma si puntava ancora tutto sulla quantità, e parlo dei Mondiali del '90. Abbiamo anche grandi problemi urbanistici, perché gli stadi sono stati rifatti solo dove precedentemente ubicati, e quindi ora che si parla di Milano parliamo comunque di una realtà che sta intorno ai 200 metri. Da una parte queste cose ci devono preoccupare, perché a volte il paese non è in grado di dare l'accelerazione, ma dall'altra mi fa sentire giovane, perché certe problematiche non passano mai di moda".

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