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Claudio Nassi: "Perché a zona?"

di Redazione TMW
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© foto di Federico De Luca

Credevo di aver visto tutto nel calcio. Ancora una volta sbagliavo. Alla tv per Fiorentina - Atalanta, rimanevo di sale. Non tanto per la vittoria degli ospiti, ma per i due gol di Zapata e Vlahovic. Ho confezionato un annuario, Tuttocalcio, perché mi ero reso conto che i numeri e la statistica, al contrario di altri sport, non venivano considerati. D'accordo, i numeri sono freddi, senz'anima, ma se integrati tra loro hanno il vantaggio di parlare. Eppoi non dimenticavo una frase di Rino Tommasi: "Le statistiche non contano per chi non ha la pazienza di coltivarle e la capacità di interpretarle". E nel '74, quando iniziai l'avventura alla Lucchese, avevo gli scout della ChinaMartini Torino e del Fernet Tonic Bologna, società di basket.

Cominciai nel '78 a lavorare con profitto. Dalla mia un precedente. Uscito dal calcio giocato, presi a scrivere. Il 18 novembre del '66 Stadio mi concesse due pagine nella rubrica del venerdì, "Rotostadio", di Parisini, dopo aver superato l'esame di Aldo Bardelli e l'attenzione di Cucci. Il titolo era: "Così si gioca in undici". Si era voluto costruire lo stopper, perché annullasse la punta centrale, di solito l'attaccante determinante. Avevano dimenticato di fargli i piedi. Entravo nella schiera degli innovatori. Da D.S. giocavo d'anticipo. Le idee che mettevo in pratica davano vantaggi. Prima lo scout, poi lo psicologo nel '78, il computer in campo nell''84, per avere i dati dopo 45', portavano risultati.

Poi nel '90 confezionai con amici un almanacco di 1.300 pagine, al costo di 120.000 lire, il più caro al mondo, dove si potevano preparare anche le partite. Mi ero accorto che si pensava di vincere con gli schemi. Ma, come lo stopper di un tempo aveva i piedi di ferro, lo schema, escluso su palla inattiva, limitava la personalità del singolo e la fantasia dei più dotati. Per questo aprivo con "I dieci comandamenti". Il primo era una provocazione: "Mai dimenticare che le partite si vincono segnando". Fare gol è la cosa più difficile e avevo scoperto, per esperienza, che i 16 metri dell'area di rigore non erano per tutti. Se Iachini ha giocato 390 gare tra A e B e segnato 14 gol, uno ogni 28 partite, se ne sarà accorto.

Allora non si può marcare a zona, perché si facilita il compito a quelli che sono soliti metterla dentro.
Non diceva Boskov:
"Con la zona gli allenatori non perderanno più tempo a studiare le marcature" e Altafini non ripete: "Con tanto spazio farei gol anche a 83 anni"? Il calcio non si insegna sui banchi di scuola. E' una trasmissione di esperienze. L'ho imparato grazie a un master nell''81/'82 a Coverciano. Per far marcare su calcio d'angolo Zapata da Bonaventura bisogna avere fantasia, come a Gasperini la Panchina d'Oro per la scorsa stagione andrebbe dimezzata. Benissimo per i gol dell'attacco ma, se subisci tanto, qualcosa va rivisto e Vlahovic non deve segnarne due in libertà.

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