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2 settembre 1995, la tragedia di Edo Bortolotti

di Redazione TMW
Fonte: Altrocalcio.altervista.org
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Il 2 settembre 1995 Edo dice basta, a soli 25 anni decide che la sua vita non ha più senso, una vita che è stata breve ed intensa.

Inizia a giocare da bambino nella Voluntas, una piccola squadra satellite del Brescia, dove ci sono anche Eugenio Corini e Luca Lazardi, due ragazzini con cui condividerà diverse soddisfazioni negli anni successivi.

Bortolotti passa proprio al Brescia e nel 1987 fa il suo esordio in prima squadra, in serie B.

L’anno dopo va a farsi le ossa in prestito al Trento, in terza serie, giocando con frequenza ed iniziando ad acquisire quella sicurezza che è vitale per la formazione di un giocatore.

Tornato a fine stagione al Brescia, la società decide di dargli fiducia e gli fa firmare un contratto sostanzioso ben ricambiato dal ragazzo (su cui ci sono gli occhi di diversi squadre, tra cui la Roma), convinta di poter investire sul terzino di Gavardo.

Il 13 gennaio 1991, però, l’episodio che gli rovinerà la carriera da calciatore e probabilmente il destino.

Nei minuti finali della partita contro la Lucchese si scontra con il centravanti Roberto Paci e si frattura il perone.

Il recupero è molto rapido ed il 28 aprile 1991 torna in panchina contro il Modena, respirando a sorpresa di nuovo l’aria del campo, un regalo fattogli da mister Bolchi probabilmente per incoraggiarlo.

Quel giorno non entra ma viene sorteggiato per un controllo antidoping che rivela lo stato di positività alla cocaina, risultato confermato anche dalle controanalisi.

L’otto giugno non si presenta davanti alla Commissione Disciplinare perché dice di vergognarsene troppo, ma manda un documento in cui ammette le proprie responsabilità.

Confessa di aver assunto la cocaina qualche giorno prima della partita, una debolezza in cui era caduto a causa dell’infortunio e della fine della storia d’amore con una ragazza, uniti alla frequentazione di gente che aveva approfittato del suo carattere buono.

Si era drogato tre giorni prima dell’incontro, convinto che sarebbe andato in tribuna.

Edo viene squalificato a quindici mesi, ridotti poi a dodici, ma continua ad allenarsi con i compagni per non perdere la forma fisica già precaria dopo l’infortunio.

La botta è stata grande e il suo debole carattere ne risente, tanto che evita di andare allo stadio per sfuggire agli sguardi dubbiosi dei tifosi.

In quella stagione da squalificato (nei controlli a sorpresa organizzati dalla società viene sempre trovato pulito) l’unica soddisfazione sono la decina di minuti finali che mister Lucescu gli concede nella partita finale contro l’Ancona in casa, con i tifosi a festeggiare la promozione nella massima serie.

Il Brescia, la squadra che aveva puntato su di lui, gli da ancora una chance la stagione successiva in Serie A ma qualcosa s’inceppa, c’è chi dice successivamente ad una espulsione forse avventata avvenuta a Cagliari.

Incespica sul pallone e nel tentativo di recuperarla si frappone davanti l’attaccante avversario che cade a terra.

Per l’arbitro è fallo da ultimo uomo ed Edo viene espulso, mentre allarga le braccia basito senza protestare in maniera veemente come vediamo spesso sui campi da gioco.

Nell’estate 1993 decide, di comune accordo con la società, di rescindere il contratto perché oramai non è più quel terzino su cui qualche grande squadra avrebbe voluto puntare, la parola sacrificio non è più nel suo Vocabolario.
Edo passa allora al Palazzolo, ma ha ormai staccato la spina e la testa non è più quella del giovane calciatore che nella sua testa ha solo il pallone.

Lascia anche qui dopo solo quattro mesi e si accasa, solo per continuare ad amare il pallone, con il Gavardo, la squadretta della sua città.

Dura poco.

A 24 anni abbandona il calcio che tanto amava senza arrivare a cento presenze da professionista, con la soddisfazione di aver giocato quattro volte con la maglia azzurra dell’Under 21 di Cesare Maldini e di aver vinto con la maglia del Brescia un campionato di serie B ed una Coppa Anglo Italiana.

A quel punto la salita che si trova nel percorso della sua vita ha aumentato il dislivello, la strada verso la serenità diventa un muro invalicabile oramai.

Il padre cerca di dargli una mano trovandogli lavoro in un’azienda metalmeccanica perché non sopporta più di vedere quel figlio che resta sempre chiuso in casa, a nascondersi dagli sguardi e dalle dicerie.

Ma tutto questo non serve.

Sabato 2 settembre 1995, quel giorno dice basta, lanciandosi dal balcone dopo aver preso il solito tranquillante, uno dei regali della maledetta depressione che lo attanaglia da mesi.

Così muore Edoardo Bortolotti, un ragazzo triste, un ragazzo troppo fragile.

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